Milly

Milly Ferrari nelle stanze della paura

Non è detto che la lunga strada della scrittura porti ad un certo punto a se stessi e questo, si sa, vale per lo scrittore come per chi lo legge, in un libro o in una intera opera. Poi succede che scrivendo ci si accompagni con naturalezza passo passo in certi luoghi, in certi avvenimenti e questa è Milly nelle stanze della paura, così in un libro in cui non si è mai soli anche nel pieno marasma della materia 'oscura' che lo tiene. Sembra impossibile che questa energia si liberi senza piaggeria da una materia terrosa stanca di vivere che tiene col fiato sospeso, curioso che ci si possa accompagnare fino a diventare amici quando non si vorrebbe altro che fuggire di fronte a tanto dolore. Ho sentito al solito dalle prime pagine, nell'incontro con l'autore protagonista esso stesso del noir, incombere la drammaturgia implacabile del Naufragio con Spettatore: il lettore/spettatore da un luogo sicuro, passeggiando sulla spiaggia come il vecchio Plinio, vede nella tempesta la nave e può leggere sui visi storti dalle grida, nei movimenti convulsi dei naviganti l'avvicinarsi fatale dell'inabissamento. Rassicurato dal confronto tra la sua condizione di favore e la precarietà senza scampo dei marinai egli scopre un sentimento segreto, umano e disumano ad un tempo. Nell'andare delle pagine del nostro libro, il delinearsi dei fatti esposti con mano sicura, non lascia margini pur nelle varie sfumature del tempo, ad equivoci di qualsiasi sorta: è mare grosso, terribile, lo scafo è fragile, il buio della tempesta è denso. Questo libro racconta cose dure, quasi indicibili, che non dovremmo ascoltare, che non vorremmo esistessero e basta. Dobbiamo assistere impotenti fino ad un certo punto sperando solo di scamparla. Ed è proprio a questo bivio, di fronte a questo dilemma impossibile, che la scrittura ci viene in aiuto. Facciamo il tifo con lo scrivente che tiene con mano sicura la penna. Passiamo con Alice oltre lo specchio, vediamo bene nel quadro la zattera, ma non solo; al congedo : “Ogni parola scritta, ogni immagine evocata nasce da momenti di disperazione e solitudine. Ogni tratto lasciato sulla tela.. (..) Bello pensare che tali segni possano diventare strumenti di comprensione che ci avvicinano agli altri.” Semplice e diretto, non c'è mai il ricatto sotteso, la chiamata all'armi o la mozione degli affetti, tantomeno il carico filosofico che ben altri hanno detto prima «Vous êtes embarqués» (Pascal. Pensées, 451 ) ed è sotteso nelle cose dette, nella speranza che circola in ogni parte del libro e lo suggella. Ho ritrovato per esempio i toni del Quartetto di Alessandria di Lawrence Durrell, sia nel bene che nel male, ma è evidente che le suggestioni sono tante; comunque, leggendo , spesso si avverte sotteso un programma (si sarebbe detto una poetica un tempo) come quello che Alfredo Giuliani suggerisce negli Orari Contrari di Klobas, "..Bisogna avere l'aria di non dire niente (niente di reale), mentre si sta facendo il possibile proprio per dire le cose come stanno". Dirò all'autore-attrice, l'autrice appunto, di porsi esplicitamente, ora, innanzitutto, questioni formali, insomma la letteratura, cose saltate di slancio per l'urgenza di dire le cose come stanno; di assumere fin in fondo quelle scelte che l'intuito le ha suggerito ne Le stanze della paura, come se sapesse dall'inizio che scrivere è fare l'amore in pubblico - per dirla con il Poeta - e val bene dunque non badare a coprirsi inutilmente protendendo lo scudo: è bene appoggiare la scala della letteratura all'erta delle nostre sperimentazioni, prendere le distanze giuste mentre ci si butta di nuovo a testaprima nella passione che ci muove (magari un nuovo libro ai/per i ragazzi che occhieggiano nel racconto e parlare a tutti i figli che si interrogano sui propri genitori). 

 


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