ecce homo
Prologo
1.
In previsione del fatto che fra breve dovrò affrontare l'umanità con le
sigenza più grave che le sia mai stata posta, mi sembra necessario dire chi
sono. In fondo è possibile che lo si sappia già: poiché non ho mai mancato
di «dare testimonianza di me». Ma la discrepanza tra la grandezza del mio
compito e la piccolezza dei miei contemporanei si manifesta nel l'atto che
non mi hanno udito o anche soltanto visto. Vivo a mio proprio credito,
forse è solo un pregiudizio, che io viva?... Mi basta solo parlare con un
qualche «dotto» che venga d'estate in Alta Engadina per convincermi che
non vivo. i. in queste circostanze c'è un dovere contro il quale, in fondo, la
mia abitudine e ancor più l'orgoglio dei miei istinti si rivolta, dire cioè:
Ascaltatemi! poiché la sono questo e quest'alfro. E soprattutto non con-
fondeiemi con altri!
2.
Ad esempio, io non sono affatto uno spauracchio, un mostro morale, -
io sono addirittura una natura opposta a quella specie d'uomo che fino ad
oggi è stata venerata come virtuosa. Detto fra noi, mi sembra che proprio
ciò inerisca al mio orgoglio. Sono un discepolo del filosofo Dioniso, prefe-
rirei piuttosto essere un satiro che un santo. Ma si lega dunque questo
scritto, Forse ce l'ha fatta, forse questo scritto non aveva altro scopo che
esprimere questo confronto in modo sereno e filantropico. L'ultima cosa
che io prometterei, sarebbe «correggere» l'umanità. Non erigerò nuovi
idoli; i vecchi possono cominciare ad imparare cosa comporta avere i piedi
d'argilla.-Rovesciure gli idoli (il mio temine per «idealin) - è questo,
piuttosto, che attiene al mio mestiere. La realtà è stata spogliata del suo va-
lore, del suo senso. della sua veracità, nella misura in cui si è inventato un
mondo ideale. il «mondo reale» e il «mondo apparente» - vedi: il mondo
inventato e la realtà... La menzogna dell'ideale è stata fino ad ora la male-
dizione scagliata contro la realtà, l'umanità stessa è diventata, per suo
mezzo, mendace e falsa, giù nei suoi istinti più sotterranei - fino al culto
dei valori inversi rispetto a quelli per mezzo dei quali le sarebbe stata ga-
rantita la crescita, il futuro, il solenne diritto all'avvenire.
3.
Chi sa respirare l'aria dei miei scritti, sa che è un'aria delle altitudini,
Hfl'ariaforte. Bisogna essere fatti per quell'aria, altrimenti non è piccolo il
fischio di raffreddarvisi Il ghiaccio è vicino, la solitudine immensa - ma
come giacciono tranquille nella luce tutte le cose! come si respira libera-
mente! Quante cose sentiamo sono di noi! La filosofia, come l'ho compre-
ECCE HOMO
Come si diventa ciò che si è
1888
Page 2
Traduzione condotta sull'originale tedesco «Ecce homo. Wie man wird, was man istv,4 "1
Nietzsche Werke. Kritische Gesamtausgabe, Hcrausgegeben van Giorgio Colli und Mazzm0
Mominari. Walter de Gruylcr, Berlin-New York, 1969.
Traduzione di Silvia Barxuli Cappelletto
Le pagine a cui rinvia l'Autore si riferiscono alla prima edizione delle sue opere.
Introduzione
il Caso Wagner, Crespuscolo degli idoli, L'Anticrìsto, Ecce homo, Diti'
rambi di Dioniso, Nietzsche contra Wagner: sono queste le opere che no-
scono nel 1888 dall'abbandono dei progetti relativi alla Volontà di potenza
e nelle quali Nietzsche condensa il vasto materiale di pensiero a quel fine
raccolto. I primi abbozzi di Ecce homo sono connessi alla stesura dell'ulti-
ma capitolo di Crepuscolo degli idoli, «Quel che devo agli antichi»; il pro-
getto di fare della propria autobiografia un'opera a sé stante matura poi in
Nietzsche nell'ottobre del 1888. Verso la metà di novembre, viene inviato
all'editore il prima manoscritto perla stampa, ma numerose furono le ag-
giunte e le correzioni che Nietzsche operò fino allafine di dicembre: di par-
ticolare importanza quelle volte a definire in ultima istanza i propri rap-
porti con Wagner e con la madre e la sorella'.
Nelle intenzioni di Nietzsche. Ecce homo doveva precedere la pubblica-
zione dell'Anticristo. che infatti non viene ancora menzionato tra le pro-
prie opere. anche se la una ' ' viene ' W. come l. ,, ' il
30 settembre e vengono citati passi della «Legge contro il cristianesimo»'.
Lo stesso posporre il Caso Wagner al Crepuscolo degli idoli, invertendo
l'ordine cronologico di composizione, permette a Nietzsche di concentrare
contemporaneamente nelle pagine finali della sua autobiografia I 'attaeno
ai Tedeschi. oggetto di una progettata «dichiarazione di guerra»', e quello
al u' ' ' come ' -' ' tutta la .. ' , creando
così quel crescendo di tensione che doveva precedere la pubblicazione deL
l'Anticrista «Misano assolutamente convinto di aver bisogno di un altro
scritto, uno scritto preparatorio in grado estremo, per potermi presentare.
all'incirca dopo un anno, col primo libro della Transvalutazione. Deve es'
sere creata una vera tensione _ altrimenti succederà come per lo Zarathw
stra»': è un motivo che ricorre spesso nelle lettere di quest'ultimo periodo
dell 'attività nietzseheanaquello di considerare le proprie opere come mo-
mento di una «agitazione» complessiva, quasi come «colpi» che devono es-
sere «sparati» una dopo l'altro seguendo una precisa strategia per impres-
sionare I 'opinione pubblica, per eostringerla ad ascoltare il proprio mes_
raggio. A questo fine, Nietzsche progetta anche di far tradurre Ecce homo
in francese e in inglese: analoghi tentativi di traduzione vengono contemA
' Per la storia della composizione di Ecce trama e per i problemi di alin'ane che tale tesm
comporta. sir. ««Sulla composizione delle opere e degli scritti postumi del 1888» e «Note al
team di Ecce homo». in Opere di Friedrich Nietzmhe. Edizione italiana diretta da 6. Colli e
M Mantinari, voli Vi, 3, Milano, 1970. pp 460-7l; pp 542-80.
2 (Itri Ecce homo. in questa edizione ppt 897-8. Nelle note successive verrà utilizzata la si-
Bli EH. seguita dall'indicazione della pagina.
' Sulla progettata «dichiarm'ane di guerra», di. Opere, vol. Vi, 3. cit.. pp. 585-7, e gli ab-
b'>22i rimasti in Opere di F. Nietzsche, vnl. vm, 3. Milano. 1974, va 413»6.
y' Cfr. la lettera all'editore Naumann del 6 novembre 1888. riportare in Opere. val. vi, 3,
"L, D. 438.
Page 3
822 ECCE HOMo
paraneamente condotti sia per il Caso Wagner che per il Crepuscolo degli
idoli, mentre per I 'Amicristo Nietzsche prevede addirittura traduzioni «in
tutte le più importanti lingue europee», calcolando una tiratura di un mi
liane di esemplari per ogni lingua? Il pensiero ormai deve diventare deci_
sione, deve essere evocato «un giorno della decisione» in cui I 'umanità as.
sumo su di sé il compito di una trasformazione dei valori: il 30 settembre
1888, giorno in cui fu terminato l'Anticristo, acquista un significato sim-
bolico, deve diventare un «di della salute», il «primo giorno dell'anno uno»',
Di questa «agitazione», di questa svolta del pensiero nella «decisione»,
nella prassi, Nietzsche non ha potuto però essere di persona la stratega: al
termine di quell 'autunno torinese così ricca, la cui luce è sempre sulla s'fon
da della propria autobiografia, il 9 gennaio 1889 Nietzsche viene condotto
via demente da Torino, accompagnato dall'amico Franz Overbeck. La fol-
lia che concludeva cosi drammaticamente il breve arco di una vita e di
un 'opera così nuova e problematica avrebbe acquistato un significato ern-
blematico di tutta una storia culturale - si pensi al Doktor Fauslus di
Thomas Mann -, ma avrebbe pesato moltissimo sulla lettura e sulla stessa
edizione delle ultime opere nietzscheane. Ecce homo fu pubblicato per la
prima volta solo nel 1908, sotto la particolare «censura» dell'ex-Archivio
Nietzsche e in particolare di Elisabeth FòrstenNietzsche, la sorella così da-
ramente colpita nella versione originale dell'opera; l 'Amlcristo era già sta-
to pubblicato tredici anni prima, nel 1895, mentre nel 1906 l'ex-Archivio
Nietzsche aveva pubblicato la «sua» edizione della Volontà di potenza,
considerata come l'opera principale e il centro di tutto il sistemafilosofico
che Nietzsche non sarebbe riuscito a compiere, rispetto alla quale tutte le
opere successive alla Zarathustra dovevano considerarsi solo frammenti; la
vita di Nietzsche infine era stata già conosciuta attraverso la voluminosa
biografia composta dalla sorella.
Contemporaneamente, a partire dall'ultimo decennio del XIX secolo, il
pensiero nietzscheano era uscito dalla ristrettissima cerchia dei suoi estima-
tori e aveva comincialo a diffondersi progressivamente in tutta la cultura
europea. Anche senza raggiungere le progettate tirature, e forse senza rap-
presentare un «destino», Nietzsche sarebbe comunque diventato non solo
una tappa obbligata di ogni itinerario intellettuale, ma anche una di quei
«grandi nomi» su cui si stratificano le più diverse incrostazioni della «sto«
ria», un «catalizzatore» di molteplici tensioni politico-spirituali che ancora
oggi non sembrano del tutto risolte. Proprio per questo, una lettura di
Nietzsche, e in particolare di un 'opera cosi «compromessa» come Ecce ho-
mo, costringe a un 'operazione preliminare di «restauro». Da una parte si
tratta di evitare ogni interpolazione tra l 'opera di Nietzsche e la storia della
Nietzsche-Rczepiion, quel'corto circuito mentale, così facile a scattare, che
da Nietzsche riporta immediatamente alla storia successi va. «Chi ha credu-
to di aver compreso qualcosa di me si è costruito, usando me, qualcosa a
sua immagine - non di rado un mio opposto, per esempio un "ideali-
sta"»': quest'esperienza fatta da Nietzsche stesso a proposito delle inten
pretozioni date del «superuomo» si è indubbiamente più volte ripetuta an-
che con altre «parole» della sua opera. Ancora oggi ad esempio Nietzsche
' Cfr. le lettere a Slrindbcrg, a Zimmem, a Brandcs, riportate in Opere, vol. VI. 3. N'-
446184
° (Iii. F. Nietzsche. Lî4nticrt'sto, in questo vol.. p. 818.
' EH. p. 358.
L
INTRODUZIONE m ALDO VENTURELLI 823
Passa per un profeta del vitalismo bellicista": eppure, a rileggere le pagine
di Ecce homo sulla guerra, una «guerra senza polvere da sparo e senza fa
ma, senza atteggiamenti bellicosi, senza pathos e senza membra slogate»',
si potrà facilmente comprendere quali colossali equivoci efraintendirnenti
siano spesso avvenuti nel leggere Nietzsche. Certamente anche questi equi-
wci devono essere tenuti presenti nel valutare il pensiero nietzscheano: ma
identificare questo con quelli non serve né a comprendere Nietzsche né tan-
tonzeno a comprendere perché determinati «slogans» siano stati estrapolati
dal contesto della sua opera e utilizzati anche nel processo di formazione
dell'ideologia del terzo Reich'°. Una non meno importante operazione di
restauro riguarda d'altra parte la lettura di Ecce homo nel contesto di tutto
il decorso dell'opera nielzscheana, senza quindi considerarla aprioristica-
mente come testimonianza «patologica» in cui rintracciare i segni della im-
minente follia. Il lavoro di composizione di Ecce homo testimonia con evi-
denza che «la lucidità letteraria, quella che noi vorremmo chiamare la "co-
- scienza di scrittore", in Nietzsche rimane assolutamente limpida fino all'uL
timo, fino alle soglie della "catastrofe". Questo, se mai, è un elemento che
vorremmo fosse aggiunto alla "patografia" di Nietzsche»". Non si tratta
certo di eliminare il crollo psichico dall'orizzonte della sua vita, per quanto
oggi, a distanza di tempo e privi perfino degli stessi documenti che potreb»
bero ricostruire la «logica» della follia nietzscheana, una analisi fruttuosa
del caso «clinico» Nietzsche risulti quasi impossibile: soltanto chela «paz-
zia imminente» rischia di divenire facilmente una chiave falsa di interpreta
zione cui ricorrere quando non si riesce a comprendere il testo nietzschea-
no, ricollocandolo nell'ambito complessivo della sua opera e della sua pro-
blematica. In questo ambito un significato, o almeno una delucidazione,
può essere trovato anche a ciò che a una prima lettura di Ecce homo può
apparire soltanto una «eccessiva autaubriacatura»'È la grande politica, il
presentarsi come destino, il mutamento di dati biografici, ecc. - tutto ciò
a un 'attenta lettura può essere compreso senza il richiamo alla follia.
«Un lettore come lo merito, che mi legga come i buoni filo/agi di una
volta leggevano il loro Orazio»": questa lettura che Nietzsche ha più volte
richiesta èforse l'unica possibilità di percepire il tono sottile, spesso ironi-
cc, pieno di nuances di Ecce homo, di penetrare nel labirinto in esso co'
struito, di avvicinarsi a quel modello di «lettore perfetto» delineato da
Nietzsche, «un mostro di coraggio e curiosità, con in più qualcosa di mal»
leabile, di astuto, di attento, un avventuriero e un esploratore nato»". For-
se anche così i'«enigma» Nietzsche resterà irrisolto - «Chi conosce me?...
Chi conosce Wagner?», chiedeva significativamente Nietzsche"s -, ma più
: Come fa 0. Mosse, Intervista sul nazismo, a cura di M.A. Lodeea, Bari, 1977. p. 46.
EH. p. 87|.
"' Sulla ricezione di Nietzsche durame il nazismo cfr. H. Lampada. Die Ausclnandersek
amg mi! Nietzsche im dritlen Reich. Ein Beitrag zar Wirkungsgerchichte Nietzscha. Kiel,
7l,cM. ' ' ',.,, 'su ' ci ' ' "' iuu;|, ' di
Alfred Bàumler)», in Studi tedeschi, xvn. 4, I974, pp. 49-7l.
" Cfr. M. Monilnarl, G. Colli, «Note al lesto di Ecce homo», in Opere, voi. v1, 3, Cil., p.
589. D'altronde lo stesso Freud vedeva proprio nella maestria della forma in EH una ragione
fondamentale per considerare «seriamente» tale opera a non trattarla soltanto come indicati-
va della imminente catastrofe psichica dell'autore: efr. la discussione su «Ecce homo» in Mi-
"ull! ofthe Vienna Psychoanalyttì' Society, vol. 2, New York, [962.
" Come apparve a l'em- Gut, cfr. la lettera I Overbeck del 27 febbraio 1889, riportata in
Opgre. vol. VI, 3, cit., p. 55l.
H EH, pp. 861.
Ivi. p. 860. .
" Cfr. l'abbozzo di lettera a Cosima Wagncr. riportato in Opere. vol. VI, 3, cit.. p. 475.
Page 4
824 ECCE quo
luce apparirà su quel complesso «gioco disegni» che Ecce homo 9. Perché
certo i «segni.» di Ecce homo non sono un semplice «racconto» della vita di
Nietzsche: già la mancanza di un decorso cronologico nel racconto, I 'orga.
mzzazrone attorno a determinati nuclei problematici, come accortezza, mg.
gazza, scrittura ecc, la scarsa presenza di «fatti» biografici, indicano come la
narrazione della propria vita venga da Nietzsche problematizzata, nasca da
un 'opera di astrazione e di consapevole strutturazione del suo significato.
L'immagine dell'autunno, di un autunno troppo ricco di frutti e di veni
tà, costellato di giorni di una «eguale indomabile perfezione»'°, che Nietz_
sche pone all 'inizio della sua autobiografia e alla cui ombra riguarda indie.
tra tutta la sua vita, sembrerebbe infatti radicalmente contrastare con il to-
no di molte lettere, solo di poco precedenti, che illuminano molto più di-
rettamente sullo stato d'animo in cui l'operafu scritta. Da esse emerge una
crisi esistenziale e una situazione fisica non diverse da quelle seguite alla
rottura con Wagner o all'affare Lou: ed è Nietzsche stesso a parlare di
«una recrudescenza delle mie sofferenze passate; che cela un profondo
esaurimento nervoso, a causa del quale tutta la macchina non funziona.
/. ..1 La forza vitale non è più intatta... >"'. Chiusa tra questa crisi profonda
che si protrae fino all'estate 1888 e il crollo definitivo dei primi giorni del
1889, la perfezione dell'autunno torinese scolpita in Ecce homo sembra
drasticamente ridimensionata, quasi l'ultimo sprazzo di vita prima della fi«
ne: e in effetti non si deve dimenticare il fondo di dolore, di sofferenza, l'e-
strema tensione intellettuale e psichica da cui nasce I 'affermazione nieto
scheana della vita. Forse non c'è opera che più di Ecce homo realizzi cosi
pienamente quella superficialità per profondità che Nietzsche vedeva nei
Greci: «forse questo scritto non aveva altro scopo» che esprimere «in mo-
do sereno e filaritropico» il contrasto tra satiro e santo", che riuscire a far
mare la «parodia» dalla «tragedia» della propria vita". È solo consideran-
da questo scarto tra arte e vita che si può comprendere in che senso l'opera
testimoni non solo una volontà di vita, ma sia, «in quanto creazione»,
«un 'aggiunta reale, un di più di quella vita stessa»", un vero e proprio
mettersi «in salvo»". E solo scrivendo iapropria vita che Nietzsche può su-
perarlo, può porsi al di là di essa, «giocare» con essa, sperimentarla.
Perché il gioco estetico con la propria vita presuppone la dissezione,
l'auto_tortura sperimentale di cui Nietzsche parla a proposito dell'Amic-
ro". E solo guardando alla vita attraverso una camera oscura, analizzan-
dola, facendone oggetto di ricerca, che essa può divenire problema; è solo
questa «chimica delle idee e dei sentimenti» che rende la vita un labirinto,
che ne allarga la sfera, ne infinitizza il finito, ne svela il gioco segreto degli
istinti, ridà valore al piccolo e al quotidiano. Ed è solo essa d'altronde a
mettere in luce il carattere «estetico» di ogni conoscenza, di ogni forma di
valutazione: non esiste cioè una verità oggettiva che possa essere ritrovata,
esiste invece il costruirsi della verità come processo infinita, come processo
:: EH, p. 2389; cfr, anche p. 838.
Ctr. lettera a Overbcck del 4 luglio 1863. riportata in Opere. vol. VI. 3, p. 432: cfr. anche
la lettera al medesimo del 12 novembre 1887, p. 428,
'" EH, p. 835.
W Per il ' dalla alla , cfr. la r ' alla seconda edizio»
ne» della «Gaia Scienza», in Opere di F. Nietzsche, vol. v. 2, Milano. i965, p. 14; cfr. anche
p. 2l)9 sul rapporto superficialità»profondità nei Greci.
Cir. il frammento preparatorio del prologo di «Ecce homo», in Opere voi. ml. 3, cil-. P'
avg.
-' co. EH, p. ras.
1' Cir. EH, o. 85L
m-rn0nuzronc m ALDO VENTURELLI 825
della nostra interpretazione, del nostro interrelarsi' e impadronirsi della
realtà. Quindi la verità è sempre in qualche modo soltanto per noi, è inevi-
tabilmente anche menzogna: solo in questo senso ogni forma di conoscen-
za è estetica, e solo per questo carattere di segno implicito in ogni cono
scenza" l'arte può essere la forma più alta di espressione, nella misura in
cui riesce a concentrare il massimo di potenza espressiva dei segni e il rap-
portarli direttamente a noi. Ed è questa operazione «estetica» che Nietz_
sche compie in Ecce homo, che non va certo frainteso per un «superiore
esercizio di stile»": per comprenderne la portata deve essere infatti consi-
derato tutto il lavoro di critica gnoseologica che è dietro questo rapporto
tra arte e scienza, tutta la svolta che si è compiuta nella storia della cono
scenza nel momento in cui il «mondo vero» è finito «per diventare favo-
la»" e che, nel momento stesso in cui distrugge lo spirito di «sistema», re»
stituisce un peso particolare alla personalità del filosofo.
La mancanza del racconto, I 'astrazione, la condensazione stilistica,
«questo minimum nell 'estensione e nel numero dei segni, questo maxi_
mum, in tal modo realizzato, nell'energia dei segni»", rivelano allora un
significato più profondo: in questa operazione «estetica» e infatti insita
tutta la capacità di potenziamento che l'interpretazione crea all'interno di
condizioni finite. Attraverso l'accettazione delle condizioni date, necessa-
rie, attraverso il tic ' degli ' ' ' ,, "" che« ' ' »
no la propria natura e che non possono essere modificati, «migliorati», è
possibile raggiungere quella nuova dimensione di vita che I Îamor lati rive-
la; attraverso l'interpretazione della propria vita è possibile «distillarla» e
scioglierla nell'eterno ritorno, riguardarla in quella prospettiva, afferman
la. Il pensiero dell'eterno ritorno non è tanto una visione ciclica del tempo,
quanto soprattutto I 'affermazione radicale, antimetafîsica del divenire:
quella che ritarda sono i quanta di energia presenti nel divenire, I 'energia
che non ha origine néfine, che non può essere modificata, quello che divie-
ne è però il modo di interpretare questi quanta, il processo attraverso il
quale si raggiunge un modo sempre più «economico» di utilizzazione di
questa energia. L'amor feti dunque non è una semplice accettazione passi
va del destino: lo stesso riconoscimento del dato, delfinito, svela nuove di-
mensioni della vita, Quella conoscenza fisiologica e psicologico che Nietz-
srhe ascrive a proprio vanto. Ma all'interno degli elementi finiti e immodi-
ficabili, la vita può essere ricostruita, interpretata, pur) appunto «divertire»
ciò «che è»: tutto quanto Nietzsche dice sulla propria malattia come condi-
zione della «grande ragione» della sua vita potrebbe inquadrarsi in questa
prospettiva. Il senso di perfezione e di compimento che si ritrova in Ecce
homo non riguarda allora le contingenze empiriche della biografia di
Nietzsche, ma la consapevolezza di aver adempiuto al proprio «compito»,
di aver sciolta la propria vita in quell'intreccio di cause che sempre ritorno,
di averla collocata nel corso del divenire. In quell'intreccio di cause, la
«messa agli atti»27 della propria vita conterà più della vita reale dell'uomo
1'" ' . la nza di vita. la " " ' di un amore più al-
lo, resteranno come «l'immortale lamenta di chi è condannato dalla so-
'" Anche in EH Nietzsche parla esplicitamente di «segni», cfrt p. 87 .
_ " Era questo il giudizio che Spitteler dava dello Zarathustra nella sua recensione sul Band
flfigrdata da Nietzsche in EH, cfr, p. 858.
2 Cfr. «Crepuscolo degli idolin, in Opere. voi. W, 3, cit., pp 7564
' CÎL F. Nietzsche, «Crepuscolo degli idoli». in voi. Vi. 3, delle Opere, cit., pp lS4-S.
" Di «messa agli am» della propria vita Nietzsche parla nella lettera a Fuchs del 27 dicem-
bre 1888, riportata in Opere, voi. vr, 3, cir., p. 457.
Page 5
826 ECCE HOMO
vrabbondanza di luce e di potenza, dalla propria natura solare, a non ama.
reti". E per questo avrebbe poco senso cercare di «smontare» Nietzsche n"
discendendo da Ecce homo alla sua vita reale. A una prima lettura, l'ope-
razione potrebbe sembrare molto facile: il prof. Nietzsche che parla di
grande politica e al massimo. riesce ad abbattere qualche scenario bayreu-
thiano, lo psicologo che non conosce il proprio inconscio, il conoscitore
dell 'Eterno Femminino che spaccia verità da quattro soldi sulle donne, il
dotto che vuol far finta di non leggere, il superuomo che non riesce a star,
corsi da madre e sorella, l 'ateo che adora profondamente di casa del pasto-
re, il solitario che costruisce la sua immagine pubblica potenziando fino al_
l'inverosimile episodi quasi trascurabili - la lettera di Oasi. la polemica
con Malwida van Meysenbug, piccole testimonianze d'affetto di fruttiven-
dole torinesi o contesse pietroburghesi..." Tutto insomma farebbe appari
re Ecce homo come prodotto di un transfert. come compensazione per una
vita cosi ristretta e povera di realtà. Ma il fatto stesso che Nietzsche con la
sua autobiografia si sia esplicitamente'proposto anche questo scopo di de»
mitizzazione e demistificazione, che polemizzi contro ogni atteggiamento,
che rifiuti fedeli a seguaci dovrebbe mettere in guardia da una lettura di
questo genere.
Perché resterebbe sempre da comprendere quale tipo di esperimento
Nietzsche abbia condotto con la propria vita, quale significato abbia il
compito che pensa di aver realizzato. Con Ecce homo la trasvalutazione ri-
guarda in primo luogo Nietzsche stesso. quel processo di superamento e di
affermazione di se stesso, che lo porta a presentarsi come «il primo uomo
come si deve»". In italiano, la parola «trasvalutazione» ha un suono parti-
colarmente vaga, inusitato, dove si perde molto il senso di trasformazione
e inversione dei valori che Nietzsche vi riconnette.' tmsvalutare non signifi-
ca affatto proporre nuove tavole di valori, ma una trasformazione dei va'
lori che nasce proprio da quell'operazione di analisi e di dissezione che ri-
vela l'inconscio in essi rimosso, il lato problematico e nascosto, «proibi-
to», che deve essere affermato e che comprende la relatività. la menzogna,
il carattere interpretativo e quindi anche «creativo» insito in ogni valore.
Al pari il superuoma non è un tipo ideale, «un genere superiore di uomo,
mezzo "santo" e mezzo "genio"»", ma indica il processo di superamento
della miseria «uomo» per l'affermazione di un suo più alto sviluppo, ap-
punto quel superamento di se stesso insito nel divenire ciò che si è. Perché
la vita e il divenire siano affermati è in primo luogo necessaria quella «li-
bertà da ogni fazione di fronte al problema generale della vita» che Nietz-
sche ascri ve alla fatalità della sua esistenztfî' è proprio il dolore, il pensiero
della morte cosi profondamente radicato già nell'infanzia. la malattia e la
prossimità della fine che permette 1 'essere al di là della vita stessa. E quindi
il riguardarla in tutta la sua totalità e complessità, I 'apprendere quella dotr
pia ottica dalla quale con l'«ottica del malato, considerare i concetti e i va-
lori pìù sani, poi, al contrario, partendo dalla pienezza e dalla sicurezza di
" EH. p. 883,
" Citi ad esempio il par. 2 di «Perché scrivo libri così buoni», in EH, pp. 859-860; "n ac-
cenno implicito in lettere di Malwìda van Meysenbug a proposito del Caso Wagner è conlflfl":
lo nella conclusione del paragrafo dedicato a quest'opera, cfr. p. 892; accenni ad espressioni
delle lettere di Gast sono ad esempio riscontrabili nel par. 3 di «Perché scrivo libri casi buo-
ni»ò cix. ppv 860-l.
' EH, p. 853.
" Ivi, p 859.
"2 Ivi. p. 839.
[NTRODUZION'E m ALDO VENTURELLI 827
sé della vita ricca, guardare in basso, nel lavoro segreto dell'islinto di déca»
dance»". Questo solo permette di «rovesciare le prospettive»", di acquisire
una visione della realtà che comprenda la mistificazione dell'ctideale», la
fuga dalla realtà che in esso si nasconde. Questa tendenza realistica, antii_
dealistim, che «divenuta dura e tagliente sotto i calpi di martello della co-
noscenza storica»" vuol recidere alla radice il «bisogno metafisico» dell'io
manità, è una delle tendenze predominanti di Ecce homo: Nietzsche vuole
riportare alla base materiale, intesa soprattutto come realtà psicologica e
fisiologica, le «idee» degli uomini, vuole ricondurle e adeguarle alla realtà
del divenire. Il rapporto con Wagner e Schopenhauer ha fatto troppo spes-
so dimenticare che Nietzsche viene dopo Feuerbach e la sinistra hegeliana:
eppure ancora nel! 'Antìcristo viene ricordato la lettura «dell'incontparabi-
le Strauss» e in Ecce homo si cita il giudizio di Bruno Bauer sulle Inattua-
li".
Quello che forse Nietzsche aggiunge a questo realismo e la capacità di
penetrazione psicologica, dalla quale dipende però anche quel lavoro di
critica gnoseologica precedentemente ricordato, e soprattutto il vivere su di
sé questa critica: la trasvalutazione non è soltanto un prodotto del pensie-
ro, ma l'Erlebnis stessa del filosofo, «un atto {. ..1 che è divenuto in me car-
ne e genia»". In questa prospettiva si può comprendere meglio il significa-
to generale assunto dalle «piccole cose» di cui Nietzsche parla in Ecce ho-
mo, le quali «sono infinitamente più importanti di tutto ciò che fino ad og-
gi si è considerato importante»". Affermare il divenire e la vita. criticare le
strutture Metafisiche o etiche. significa sul piano personale in primo luogo
ritrovare il «filo» del corpo: il che non deve affatto intendersi come un
semplice vitalismo. Perché anche il corpo deve essere interpretato, e del
corpo fa parte integrante anche ciò che è altrimenti inteso come «puro spi-
rito», «sistema nervoso e sensin": Nietzsche non rifiuta affatto la ragione,
tenta soltanto di analizzare la ragione in quanto «istinto» e di non farne un
semplice organo regolatore che non conosca la sua «genealogia» fisica,
materiale. Alla base di questo divenire materiale vi è la volontà di potenza,
che non intende affatto fungere da nuovo principio motore di tutto l'uni-
verso: non a caso Nietzsche parlava di essa come di un «tentativo di una
nuova interpretazione di ogni accadere» «in modo provvisorio e sperimen-
tale»"'. Questo «tentativo» di adeguarsi al «senso dei fatti, l'ultimo e più
prezioso di tutti isensi»" è in fondo più importante anche del suo specifico
contenuto: «i metodi, si deve dirlo dieci volte, sono l'essenziale, anche la
casa più difficilen". Affermare dunque la volontà di potenza non significa
affatto affermare una sorta di lotta per la potenza tra gli uomini, quanto al
contrario un 'umanità che e in grado di conoscere e di interpretare i propri
istinti e di dominarli a tal punto da potersi permettere una affermazione
della vita in tutti i suoi aspetti e lati problematici. L'egoismo di cui parla
Nietzsche non è l'egoismo «povero, affamata, che vuol sempre rubare»",
" Ivi. p. 340.
" EH, p. su.
îî ca. EH, p. sse; L'Anticrista, m., p ras.
' EH, p. 894.
Cfr. L'Anticnsto. m., p. 779.
' ° Cir. Opere di F. Nietmche, voi. va, 3, Milano, 1975, n. 375.
:; <îfr. L'Anticristo. cit., p. su.
la:dem.
" Civ, F. Nietzsche. «Così parlò Zarathustra», in Opere, voi. vi. 1. Milano, l9b8, p. 89v
Page 6
828 ESCE HOM0
quanto quello di un individuo che è perfettamente padrone di sé, da non
volere ad esempio «fuggire» nella compassione verso gli altri: il tipo di un.
mo concepito da Zarathustra «concepisce la realtà come essa è: egli è abbg.
stanza forte per farlo -, non e estraniato, rapito in estasi, è questa realtà
stessa, ne ha ancora in sé tutto il terribile e l'ambiguo, e solo con ciò l'uo.
mo può essere grande...»". Al contrario, «la condizione d'esistenza dei
buoni e la menzogna: detto con altre parole, il non voler vedere a nessun
costo com 'è, in fondo, la realtà, e cioè non atta a far nascere ad ogni islam
te sentimenti di benevolenza, e, meno ancora atta, a tollerare ad ogni istan-
le su di sé l'intervento di mani miopi e benevole»".
Questa specie superiore di umanità, che è in grado di trasformare i valo-
ri. e anche il frutto di un processo che avviene storicamente: criticare la
morale, o la religione, non significa certo non comprendere quale ruolo in
passato esse abbiano potuto svolgere nel «superamento» dell'uomo, E
I'immoralisrno di Zarathustra w questo è una dei punti essenziali di Ecce
homo, uno dei risultati a cui Nietzsche è giunto con particolare lavoro -
presuppone infatti tutta la storia della morale e l'ansia di veracità in esso
contenuto: Zarathustra, creatore della morale, deve essere anche il primo a
riconoscerne [a fine, rappresenta «l'autosuperamento, per veracità, della
morale, l'autosuperamento del moralista » me stesso nel suo contrario -
in me»". L immagine che Nietzsche presenta di se stesso può far compren-
dere cosa significhi questo superamento: «La libertà dal ressentimem, la
chiara visione del ressentirnent»'7 è in fondo il tratto che più caratterizza
questa immagine. La malattia, il rapporto con il padre, le esperienze più
profonde della psicologia nietzscheana conducono tutte a evidenziare que
sto superamento della «ritorsione», dell'istinto di vendetta: ciò significa il
raggiungimento di una vita che non sia semplice risposta ad uno stimolo,
che non sia formata da un meccanismo di reazione, di «retribuzione», co-
me il desiderio, il volere o l'aspirare a qualcosa. Superare questo meccuni
smo di reazione significa più in generale soprattutto superare la «colpa» e
quindi la «punibilità»: «prendere su di sé la colpa, non la pena, questo solo
sarebbe veramente divino»". E dunque superare una visione della vita co-
me «colpa» che deve essere espiata e raggiungere invece una affermazione
della vita nella pienezza del suo divenire, e quindi anche delle sue pene, del
le sue crisi, dei suoi dolori: la contrapposizione finale tra i due «tipi» di
Dioniso e il Croce/isso non è altro che la condensazione simbolica della
contrapposizione tra queste due visioni della vita. La conseguenza psicolo-
gica principale di una vita che si sa inserita nell'eterno ritorno è proprio in
fondo in questo superamento dell'idea della fine, e del dolore e dell'ansia
che ad essa si f ' è questo I" p, ' ', ' che Nietz-
sche trae da quell'essere tra la vita e la morte che è stata la malattia 0 Me
sperienza della morte paterna. In Ecce homo l'idea della morte è molto più
lontana, superato, di quanto non lo fosse in Zarathustra, e forse il tono
ironico, parodistieo, la capacità di giocare con la propria vita si riconnettc
anche a ciò. Il gioco è conseguenza di questo essere al di là della vita. di
questo includere nelle combinazioni del divenire anche la fine: per questo È
la massima affermazione Essere al di la della vita, avere la conoscenza, la
" EH, p, 897.
" Ivi, p: 395.
'° Ibidcm.
"_ Ivi, p. 343.
" Ibidern.
|fiRODUZIONE DI ALDO vemuuer.u , 829
«saggezza» della vita", significa anche superare se stesso: la spersopalizza-
liane, il ' dei propri ' è [Il 4 .
per sciogliersi nelle cause del divenire, la «fiamma», la nuova. passtone,
può nascere solo dal disciogliersi del «ghiaccio». È questa la via per rag:
giungere quella piena identificazione nella realtà che Nietzsche ascrive al ti-
po superiore di umanità da Zarathustra concepito: da_una parte ci si cono-
sce in quanto parte del divenire, dall'altra si è se stessi divenire, si ha la ca-
paCilà di vivere in divenire, Il «genio del cuore», la «grande salute», una
salute «tale da non essere solo posseduta, ma conquistata, e tale da dover
essere conquistata incessantemente, poiché la si sacrifica e la si deve sacri-
ficure sempre di nuovo»'°, esprimono questa concezione di vita che trova
la sua piena realizzazione nell'aanima» di Zarathustra, «che ma amo se
stessa, nella quale tutte le cose hanno le loro correnti e controcorrentt,
fl usso e riflusso»". À _ I >
Questa immagine di vita vuole anche testimoniare ll superamento della
décadence: «Indipendentemente dal fatto che sono un décadertt, sono un»
che il suo contrario»". In uno stupendo aforisma su Dove va collocato
Wagnét, Nietzsche, collocandolo accanto a Baudelaire, al romantictsrno
decadente francese, parlava di questi «primi artisti europei di formazione
letteraria mondiale ., tutti qaan ti fanatici del! 'espressione, grandi scoprito-
ri nel regno del sublime, e anche in quello del brutto e dell'orrido, scoprito»
ri ancor più grandi nell'effetto, nella messa in scena, nell'arte delle vetrine,
talenti tutti quanti ben al di là del loro genio -, virtuosi in tutto e per tut-
to, con misteriosi approdi a tutto ciò che seduce, attira, costringe, sconvol-
ge, costituzionalmente ostili alla logica e alla linea retta,'brarnost dell mu-
Slltll0, dell'esotico, del colossale, di tutti gli oppiacei dei sensr e dell'intel«
IEÎlO))". Se si dovesse collocare Nietzsche nella storia dell'àme moderne,
non si potrebbe che collocarlo dentro e nello stesso tempo dopo di ciò:
Nietzsche e dentro questa scoperta dell'orrido e del problematico, della se-
duzione e del mistero, ma priva questa scoperta del suo «scandalo». Il pro-
blematico e conosciuto, i vecchi valori, dai quali soltanto poteva nascere lo
«scandalo», sono definitivamente distrutti, una nu0va «linea retta», una
nuova logica viene reintrodotto nel mondo della seduzione e dell'attrazio-
ne; essa priva l'oppiaceo del suo effetto, è capace di parodiare la propria
stessa «messa in scena», testimonia la via che dal «kolossal» bayreuthtano
conduce alla solitudine di Zarathustra. In questo senso Nietzsche e deca-
dent e nello stesso tempo l'opposto di un décadent: e forse la sua moderni-
tà, il fascino di] ' " wvr ' L " del ' ' i ' ' è proprio
qm' r . .
Come è qui la modernità non meno difficilmente comprenstbtle del 9051
parlò Zarathustra: lo Zarathustra è al centro di tutto Ecce homo, Il rttmo
stesso di quest'ultima opera nietzscheana non vuole altro che preparare l'e-
vento Zarathustra, il suo contenuto non si presenta altro che come corn«
mento, interpretazione di quello che tra gli scritti di Nietzsche «sia a se»,
alla cui «autorità» ein continuamente si richiama, che con maggiore fre-
quenza ein cita. In un certo senso Ecce homo dimostra la consapevolezza
'° Per il rapporto saggezza-vita (e morte), cix. «Così parlò Zarathustra», in questo val.
(Pan: terza, «il secondo come di danza»)_
'" EH, p. 379; cfr. anche p. 863.
" la, p. su
" Ivi, p. eco, 4
n Cir. F_ Nìctmhe, «Nietzsche contra Wagner», in Opere, vol. VI, 3, p 402; Nietzsche rL
Mm gli aforismi 254 e 256 di Al di II.) del bene e del male.
Page 7
830 ECCE HOM0
che Nietzsche ha raggiunto di quello che in Zarathustra era divinazione,
ispirazione: non è un caso, ad esempio, che Nietzsche reintroduca solo ora
il concetto dionlsiaco per definire ciò che in quell'opera era divenuto
«azione suprema", mentre nella Zarathustra Dioniso non viene mai espli-
citamente menzionato, ma solo accennato. Questo recupero di Dioniso
non è in fondo che un altro aspetto di quel divenire ciò che si è narrato in
Ecce homo; perché si tratta di comprendere quale cammino Nietzsche ri_
percorro per ritornare al suo dio giovanile, quale interpretazione egli dia
delle svolte compiute in questo tortuoso itinerario, quale «selezione» ein
compia nelle sue opere, in che modo egli chiuda i conti con esse. In esse in-
fatti parla una molteplicità di toni che potrebbe sembrare contrastante, e
Nietzsche ne è consapevole: «Al diavolo, signori critici! Posto che avessi
battezzato il mio Zarathustra con un nome diverso, per esempio con quello
di Richard Wagner, la sagacia di due millenni non sarebbe stata sufficiente
per indovinare che l'autore di Umano, troppo umano è il visionario di Za-
rathustra. ..»". L'interesse principale che presenta questa ennesima riletta
ra che Nietzsche fa di se stesso - ad appena due anni di distanza dalle in-
troduzioni scritte per la nuova edizione delle sue opere v èproprio nel mo-
do in cui egli riduce a unità tale molteplicità. I quasi vent'anni della sua at-
tività letteraria si dividono pressoché simmetricamente in due parti, distin-
te dalla profonda cesura del l878"79: quello che forse più colpisce in Ecce
homo, e che emerge anche da alcune ' , ' ' i ,
nee. è la presenza ancora cosi viva di quella svolta, che ritorna più volte nel
testo. La malattia, la rottura con Wagner, l'abbandono della professione e
della cattedra hasileese, sono il momento che in un certo senso segna la
«nascita» di Nietzsche, quello in cui il suo istinto lo riporta verso se stesso:
è allora che si compie la liberazione del suo spirito, la sua conversione dagli
«ideali» alla realtà. Gli stessi gusti letterari, la predilezione per la cultura
francese e la critica allo spirito tedesco, le stesse scelte di studio - «da al_
[ora in poi non mi sono occupato d'altro che di f' ' ' ' " ' e
scienze naturali -, anche agli studi propriamente storici sono ritornato so-
lo quando il compito mi obbligo imperiosamente afarlo»'° _ risentono di
quella svolta. è da essa che nasce lo Zarathustra, dalla liberazione dello
spirito compiuto con Umano, troppo umano: la storia che porta alla Zara-
thustra, cosi come viene delineata in Ecce homo, è la storia di un lento ri-
sorgere dell'«aurora» dal «congelamento» dei precedenti ideali, di un pro-
gressivo farsi gato di quella scienza particolare - la «chimica delle idee e
dei sentimenti» - che nello Zarathustra tornerà ad essere «arte», afferma-
zione. 7" ' un 1' " ' «il! ' ' da una « ' ' io», profeti
co, non ha dunque alcun senso: niente della dedica, di Umano, troppa
umano a Voltaire, della ricerca del Frcigeist viene rifiutato, la visione dio-
nisiaca della Zarathustra deve essere «confermata e sostenuta nel modo
più rigoroso e sostenuta dalla verità e dalla scienza»"; e in Ecce homo
Nietzsche ricorda che la Gaia scienza si inserisce nel periodo di gestazione
di Così parlò Zarathustra, cosa d'altronde pienamente confermata dai
frammenti postumi del periodo relativo".
Il tornare con gratitudine a ripensare ai «giorni di Trlbschen, i giorni
" EH, p. 831
" Ivi, p. 852.
"' Ivi. p. 872.
" Ivi, p, 565.
" Ciro «Frammenti postumi 1881-1882», in Opere, vol. V, 2, cix.
INTRODUZIONE DI ALDO VENTURELLI 831
della fiducia, della gaiaza, dei casi sublimi»", dell'unico rapporto umano
che Nietzsche salva in Ecce homo, può avvenire soltanto sulla base di un
profondo «congelamento» degli ideali wagneriani di un tempo: una grati-
tudine che è faticosamente conquistata durante il lavoro di autoanalisi
compiuto in Ecce homo. Nietzsche può tornare agli ideali della Nascita
della Tragedia e del suo periodo wagneriano nella misura in cui essi non so.
no più ideali, nella misura in cui essi vengono motivati senza ricorrere ad
alcun principio wagnetiano o schopenhaueriano, Per rileggere la Nascita
della tragedia, bisogna dimenticare la «wagnereria»; i modelli delineati
nelle Inattuali su Schopenhauer e Wagner sono soltanto dei «segni» nei
quali è iscritta la storia più intima, la speranza più alta del giovane Nietz-
sche". Su questa base, il dionisiaco, nella interpretazione che ne da l'ulti_
mo Nietzsche, è piuttosto diverso da quello schopenhauerianamente teoriz«
zato nella sua prima opera come ebbrezza derivante dalla rottura del prin-
cipìurn individuationis: il recupero di Dioniso passa infatti attraverso la
svolta antiidealistica del 1878-79 e l'esperienza psicologica del 1882, appe-
na ricordata a proposito deil'lnrro alla vita composto sul testo di Lou van
Salomé", e si converte nel pathos dell'affermazione dell'eterno divenire
della vita anche nel suo dolore e nelle sue crisi. A salvarsi dunque sono le
ultimissime pagine della Nascita della Tragedia, dove la dissonanza del Tri-
stano svelava questo «gioco di costruzione e distribuzione del mondo indi-
viduale come l'afflusso di una gioia primordiale»"; ancora in Ecce homo è
' " una ' ' "' all'Erlcbnis del Tristano", mentre del! '41-
tacco a Wagner resta ' la critica ' ' alla sua ' iullc in
tedesco, alla sua conversione al Reich.
Il capitolo che Nietzsche dedica al Caso Wagner diviene infatti l'occasio-
ne di «dire ai tedeschi un paio di dure verita'»"; ma adesso si arriva alla
conclusione della vicenda dell'opera nietzscheana. Dopo lo Zarathustra
tutto è in un certo senso solo interpretazione, chiarificazione di qualcosa
che in quell'opera era già intuito, fino al punto in cui il pensiero non è solo
' del [IV " ' ma deve divenire «decisione»". In questa
prospettiva di «grande politica» rientra l'attacco ai Tedeschi, come quella
finale al cristianesimo. Cogliere il tono ironico presente anche in queste ul-
time posizioni può oggi risultare molto difficile, non essendo tra l'altro più
percepibili i riferimenti polemici del testo nietzscheano: se Nietzsche pre-
senta se stesso come «dinamite», implicitamente ironizza sul modo in cui
era stato recensito sul Band"; se parla di «grande politica», capovolge la
definizione che la politica bismarckiana dava di sé, vuol dimostrare chela
«pace armata» instaurata in Europa da! Reich è «piccola politica»". In-
viando a [con Bourdeau il testo del «promemoria» per le Corti europee al-
lo scopo di creare una «lega antitedesca», testo purtroppo andato perduto,
Nietzsche si dichiarava convinto della possibilità di «rimettere in sesto tut-
tu l'assurda situazione dell'Europa con una specie di risata di dimensioni
storico-universali, senza che una sola goccia di sangue sia versata. In altri
" EH, p. so.
"' Cosi Nietzsche ne parla in EH. 9. sto.
" casa, p.818.
" F. Nietzsche. «La mm con tragedia», in Opere, voi. m, 1. mm» 1912. p. 160.
" Per la pagina sul «Tristano». cir. EH. PD- 852,
" Niauche ricorda tali recensioni anche in EH, ctrt pp. 858.
" on. EH, p. 89|.
Page 8
832 ECCE HOM0
termini: un giornale è sufficiente. .. n": tutto ciò che si connette alla «gran
de politica» non dovrebbe dunque essere presa alla lettera, ma considerato
nella prospettiva di questa mediazione ironica, di questa intonazione «fa
gliettonistica» che tutti i suoi ultimi scritti hanno. Ed è scarsamente proba_
bile che Nietzsche si facesse illusioni sulla possibilità di influire effettiva.
mente sulla realtà politica del suo tempo, qualora si consideri la doppia di
mansione «per tutti e per nessuno» presente anche in Ecce homo o la stessa
consapevolezza di essere destinata a una vita «pasturna»"; piuttosto l'ulti-
mo Nietzsche cerca di giungere alla società o alla politica attraverso quei
mezzi di comunicazione, quali il giornale, che vengono generalmente gesti_
ti dal lavoro intellettuale".
Voler trarre da Nietzsche una teoria politica sarebbe arbitrario e poco
fruttuoso: forse più significativo e leggere queste ultime posizioni su quel
piano di critica al «complesso della cultura» che egli aveva consapevolmen
le scelto. Sotto questo aspetto, l'attacco al cristianesimo e la grande politi-
ca , r ' s.. i '. Nel u ' ' ' " non critica
soltanto la religione, quanto ogni struttura di pensiero, ogni modo di com-
portamento che sia fuggito dalla realtà, che l'abbia svalutare: basta rileg-
gere l'ultima pagina di Ecce homo per comprendere come nell'attacco al
cristianesimo egli concentri tutto il lavoro di critica gnoseologica alle strut-
ture del pensiero e al procedimento di valutazione etica condotto nei fram-
menti degli ultimi anni. Da questa critica deriva soprattutto la riafferma-
zione del divenire: il pensiero si deve a esso adeguare, non deve mistificare
la realtà, creare categorie ad essa contrapposte. Il pensiero anzi deve diven-
tare una molla stessa di questo divenire, di questa sviluppo, non il custode
di eterne verità ma uno strumento di interpretazione della vita, della realtà:
in questa terra, in questa realtà, e non in un mondo vero inventato «per lo
gliere valore all'unico mondo esistente»", deve essere ritrovato la ragione,
devono essere rinvenute nuove finalità, nuovi valori, superando quell'incu-
ria secolare per tutte quelle «piccole cose» che Nietzsche rivaluta. Tra le
quali egli non annovera soltanto i «problemi del nutrimento, dell'abitazio-
ne, della dieta spirituale, della cura delle malattie. della pulizia, del tempo
atmosferico», ma anche «tutti i problemi politici, dell'organizzazione so_
ciale, dell'educazione»: il pensiero dunque viene integrato, in tutti isuoi
aspetti, non solo come conoscenza ma anche come indicazione di camper
tamento, all'interno del complesso del divenire". È questa la svolta, il de-
stino che Nietzsche pensa di aver compiuto nella storia della conoscenza,
in modo particolare svelando nella sua genealogia quella che era stata la
«Circe» di tutti i filosofi, la morale.
La «grande politica» nietzscheana è la conseguenza, e nello stesso tempo
presuppone questa svolta: 1 'umanitd deve prendere su di sé il compito del
suo sviluppo, deve rendere possibile la creazione di un «sovrappiù di vita».
dal quale soltanto può derivare l'affermazioneI dianisiaca del divenire, de-
"' La lettera a Bourdeau è riportata in Opere, val. Vi, 3, cil., o, mi
"' Un libro «per tutti e per nessuno» era la Zarathustra, ma anche Ecce homo non si prc»
sema in modo diverso, cfr. ad esempio EH, p. 835, p. 838: da una parte Nietzsche vuole =SS&
re ascoltato, dall'altra racconta solo per sé la sua vita. Per quanto riguarda la consapevolezza
di non vivere. di vivere una esistenza postuma, cfrr ad esempio 1). 835.
l" Si potrebbe tentare di applicare anche a questo uso nictzscheano del giornale quelle catc_-
gorie di mi!icastralcgia che Paolo Chiarini ha applicato a Hcìnc: cir, l'introduzione a Rendi-
conto parigino. Bari. l970. Per quanto riguarda Heine, cfr. il paragrafo che Nietzsche gli da
dica in EH, pp. ESI-l
" EH. p, 898,
" Ivi, p 893, p, 856,
iNTRODUZIONE DI ALDO VENIURELLI 833
ve a tal fine uscire «dal dominio del caso e dei preti» e porre «globalmente
per la prima volta la questione del "perché", del '"a che scopo?"»", supe-
randa la fiducia in un progresso automatico che ricorda ancora la provvi»
denza divina e avendo la forza di trattare anche le crisi come momenti di
crescita e non solo come «qualche cosa bisogna eliminare»? È in questa
prospettiva di sviluppo, e non certo in quella di una teoria della razza, che
Nietuche usa termini correnti nella cultura del suo tempo come allevamen-
to, ' ' ecc.: nei f. ', ' r ' ciò emerge mol-
lo più chiaramente che non in Ecce homo o nelle altre opere di questo pe-
riodo. Ed è in essa che bisogna collocare anche l'attacco ai Tedeschi, nei
quali Nietzsche attacco per prima cosa I 'idealisrno, la mistificazione ideo«
logica, come strumento di consenso e di potere del nuovo Reich. Lo stesso
sforzo di detedeschizzate Wagner, la polemica esplicita con Treitschlce,
con Guglielmo II, con il Deutschland iibcr alles, tutto va in questa direzio_
ne di critica dell'ideologia tedesca, di critica dunque al coagqu di naziona-
lismo, antisemitismo, irrazionalismo che costituiva i germi di quella che sa-
rebbe diventata l'ideologia del terzo Reich: sottovalutare la portata «ma
dernizzutrice» di questa polemica nietzscheana, anche alla luce dell'espe-
rienza storica successivo, non è possibile". l. 'aspetto di critica dell'ideolo-
gia emerge anche da ciò che in Ecce homo è detto a proposito del «ritardo»
tedesco, rispetto al Rinascimento e rispetto a Napoleone, per comprendere
il quale si dovrebbe tener presente tutto lo schema di «storia universale»
presente in Nietzsche: il Rinascimento è stata la premessa di quella «svol'
m» verso l'aflermazione della vita già prima ricordata, Napoleone non è
tanto il dittatore, t 'uotno forte, quanto l'unificatore d'Europa, rispetto al
quale le guerre di liberazione nazionali hanno costituito un passo indietro,
diffondendo una névrose natioriale che ha privato l'Europa del suo senso".
l'v'ell'evocazioneflnale di Dioniso. che chiude Ecce homo, non si dovreb-
be dunque vedere l'evocazione di un qualche culto sotterraneo e misteritr
so, contro i quali Nietzsche polemizzava aspramente nell'Anticristo: riap'
prendere in Dioniso il maestro della «grande ragione»", di una ragione
problematica, che si conosce nella sua parzialità e nei suoi limiti, ma perciò
stesso nelle sue possibilità di sviluppo; questo aspetto generalmente cosi
poco considerato del pensiero nietzscheano è quello che forse oggi ha an-
cora qualcosa da dire, anche per sciogliere quell'«enigma Nietzsche» così
stupendamente presentato in Ecce homo.
ALDO Vemuner.u
" Ivi, p 896 Per il senso di questa svolta nicttschcana, rimandiamo a M: Cacciari. Krisis,
Milano, 1976; «Noi. i soggetti», in Rinascita, 2 luglio l976, pp. 25-6; «Ma io parto dalla tra»
l=dia di Weimar». in Rintu'cita, 5 agosto 1977, pp. 25-6.
7' Anche se in altro contesta. Thomas Mann si soiicrmflva sulla portata mod:mizzalrice di
Îfi=tzsche nell'ambito della «miseria tedesca» nelle Considerazioni di un impalttico. Bari.
967v p, 70.
" Cir. EH, p, 891. il rapporto di Nictzsdi: con Napoleone passa attraverso Stendhal e
Goethe: lo stesso pensiero politico di Nietzsche si ricollega a quello che egli chiamo il «reali-
smo» di Goethe; su Goethe Nietzsche riflette più volte in questo ultimo periodo della sua ani-
;i1à, = come frutto finale di questa riflessione si possono considerare le pagine del Crepuscolo
e li idoli
Grande ragione è termine usato da Nietzsche; cfr. EH. p. 844r Per la polemica con Paolo
quale catalizzatore dei culti sotterranei che scrpeggiavano nell'impero romano, cfr. L Armen-
sto, cìt., p. 812.
Page 9
Prologo
1.
In previsione del fatto che fra breve dovrò affrontare l'umanità con le
sigenza più grave che le sia mai stata posta, mi sembra necessario dire chi
sono. In fondo è possibile che lo si sappia già: poiché non ho mai mancato
di «dare testimonianza di me». Ma la discrepanza tra la grandezza del mio
compito e la piccolezza dei miei contemporanei si manifesta nel l'atto che
non mi hanno udito o anche soltanto visto. Vivo a mio proprio credito,
forse è solo un pregiudizio, che io viva?... Mi basta solo parlare con un
qualche «dotto» che venga d'estate in Alta Engadina per convincermi che
non vivo. i. in queste circostanze c'è un dovere contro il quale, in fondo, la
mia abitudine e ancor più l'orgoglio dei miei istinti si rivolta, dire cioè:
Ascaltatemi! poiché la sono questo e quest'alfro. E soprattutto non con-
fondeiemi con altri!
2.
Ad esempio, io non sono affatto uno spauracchio, un mostro morale, -
io sono addirittura una natura opposta a quella specie d'uomo che fino ad
oggi è stata venerata come virtuosa. Detto fra noi, mi sembra che proprio
ciò inerisca al mio orgoglio. Sono un discepolo del filosofo Dioniso, prefe-
rirei piuttosto essere un satiro che un santo. Ma si lega dunque questo
scritto, Forse ce l'ha fatta, forse questo scritto non aveva altro scopo che
esprimere questo confronto in modo sereno e filantropico. L'ultima cosa
che io prometterei, sarebbe «correggere» l'umanità. Non erigerò nuovi
idoli; i vecchi possono cominciare ad imparare cosa comporta avere i piedi
d'argilla.-Rovesciure gli idoli (il mio temine per «idealin) - è questo,
piuttosto, che attiene al mio mestiere. La realtà è stata spogliata del suo va-
lore, del suo senso. della sua veracità, nella misura in cui si è inventato un
mondo ideale. il «mondo reale» e il «mondo apparente» - vedi: il mondo
inventato e la realtà... La menzogna dell'ideale è stata fino ad ora la male-
dizione scagliata contro la realtà, l'umanità stessa è diventata, per suo
mezzo, mendace e falsa, giù nei suoi istinti più sotterranei - fino al culto
dei valori inversi rispetto a quelli per mezzo dei quali le sarebbe stata ga-
rantita la crescita, il futuro, il solenne diritto all'avvenire.
3.
Chi sa respirare l'aria dei miei scritti, sa che è un'aria delle altitudini,
Hfl'ariaforte. Bisogna essere fatti per quell'aria, altrimenti non è piccolo il
fischio di raffreddarvisi Il ghiaccio è vicino, la solitudine immensa - ma
come giacciono tranquille nella luce tutte le cose! come si respira libera
Page 10
836 accrz nono
sa e vissuta fino ad oggi, è la vita volontaria tra i ghiacci e le cime - la ri.
cerca di tutto ciò che di estraneo e di problematico vi è nell'esistenza, di
tutto ciò che finora era posto al bando dalla morale. Dalla lunga esperien-
za che mi ha dato tale peregrinazione nel proibito, ho imparato a Conside-
rare le cause, in modo molto diverso da quanto puù essere auspicabile, in
base alle quali fino ad oggi si è moralizzato e idealizzato: è venuta alla lu_
ce, per me. la storia segreta dei filosofi, la psicologia dei loro grandi nomi.
*- Quanta verità sopporta, quanta verità osa uno spirito? Questo è diven-
tato per me. sempre più, il vero criterio di valutazione. Errore (- la fede
nell'idcale »-) non è cecità, errore è vigliaccheria... Ogni acquisizione, ogni
passo avanti nella conoscenza consegue dal coraggio, dalla dureua verso
se stessi. dalla pulizia verso se stessi... lo non confuto gli ideali, mi infilo
semplicemente i guanti di fronte a loro... Nitimur in velilum: in questo re<
gno vincerà un giorno la mia filosofia, poiché finora è stata impedita, per
principio, sempre e soltanto la verità.
4.
Tra i miei scritti il mio Zarathustra è parte a sé. Con esso ho fatto all'u.
manità il dono più grande che finora le sia stato fatto. Questo libro, la cui
voce porta oltre i millenni, non è solo il libro più alto che esista, il vero li<
bro delle altitudini - l'intero fenomeno uomo si trova a grande distanza
sotto di esso - è anche il più profondo che sia mai nato dalla ricchezza più
segreta della verità, una sorgente inesauribile nella quale nessun secchio
può scendere senza risalire colmo d'oro e di bontà. Qui non parla un «pro-
feta», uno di quegli orribili ibridi di malattia e di volontà di potenza, che
son chiamati «fondatori di religioni». Bisogna, prima di tutto, saper ascol-
tare l'accento che esce da questa bocca, questo accento alcionio, per non
far miseramente torto al senso della sua saggezza. «Sono le parole più
tranquille quelle che portano la tempesta, pensieri che avanzano con passi
di colomba guidano il mondo -.»
l fichi cadono dagli alberi, sono buoni e dolci: e mentre cadono si
rompe loro la rossa buccia. lo sono un vento del nord per i fichi ma-
turi.
Cosi, simili a fichi. cadono innanzi a voi questi insegnamenti.
amici miei; ora bevete il solo succo, la loro dolce polpa! è autunno.
tutt'intorno, e cielo puro e meriggio! -
Qui non parla un fanatico, qui non si «predica», qui non si pretende la
fede: da un'infinita pienezza di luce e profondità di gioia cade, goccia a
goccia, parola su parola - una tenera lenteua è il ritmo di questi discorsi.
Tali cose toccano solo ai più eletti; è un privilegio senza pari essere uditori;
non è per tutti avere orecchie per Zarathustra... Con tutto dò Zarathustra
non sarà un seduttore? Ma cosa dice dunque egli stesso, quando perla pri-
ma volta ritorna nella sua solitudine? Proprio il contrario di ciò che direb-
be in tal caso un qualche «saggio», «santo», «salvatore del mondo», 0 un
qualche altro décadent... Non solo agli parla in modo diverso, egli è anchs'
diverso . . .
Solo dunque me ne vado, o miei discepoli! Voi pure, andatevenc
ora e soli! Così io voglio.
PRODOGO 837
Audatevene da me e guardatevi da Zarathustra! E meglio ancora:
vergognatevi di lui! Forse vi ha ingannato.
L'uomo della conoscenza non deve solo saper amare i suoi nemici,
deve anche saper odiare i suoi amici.
Si ripaga male il maestro, se si rimane sempre scolari. E perché
non volete strappare le foglie della mia corona?
Voi mi venerate: ma se la vostra venerazione un giorno cadesse?
Guardatevi, che non vi schiacci una statua!
Voi dite di credere a Zarathustra? Ma che importa Zarathustra?
Voi siete i miei fedeli, ma che importano tutti i fedeli!
Non vi eravate ancora cercati: e trovaste me. Cosi fanno tutti i fe'
deli, perciò ogni fede è di cosi poco conto.
Ora. vi ordino di perdermi e di trovarvi; e solo quando voi tutti mi
avrete rinnegato, tornerò in mezzo a voi...
FRlEDRICH NIETZSCHE
Page 11
in questo giorno di perfezione in cui ogni cosa giunge a maturazione e il
grappolo non è il solo a diventar scuro, un raggio di sole è appena caduto
sulla mia vita: ho guardato dietro di me, ho guardato lontano davanti a
me, non vidi mai tante cose così buone in una volta sola. Non ho sepolto
invano, oggi, il mio quarantaquattresìmo anno, mi è stato possibile seppel-
lirlo, -« ciò che in esso era vita è salvo, è immortale. I! rovesciamento di
tutti i valori, i Dirirambi di Dioniso e, per mia ricreazione, il Crepuscolo
degli idoli - Tutti doni di questo anno, addirittura del suo ultimo trime»
stre! Come potrei non essere grato all'intera mia vita? E cosi mi racconta
la mia vita.
Perché sono cosi saggio
l.
La felicità della mia esistenza, la sua unicità forse, sta nella sua fatalità:
per parlare per enigmi, in quanto mio padre sono già morto, in quanto mia
madre vivo ancora e invecchio. Questa doppia origine, per cosi dire dal più
alto come dal più basso germoglio sulla scala della vita, decadente insieme
cominciamento - se c'è qualcosa che spieghi quella neutralità, quella li-
bertà da ogni fazione di fronte al problema della vita nel suo complesso,
che forse mi contraddistingue, è proprio questo. lo ho, per i segni dell'a-
scesa e del declino, più fiuto di quanto un uomo abbia mai avuto, io sono,
in questo, il maestro par excellence, - conosco l'una e l'altro, sono l'una e
l'altro. - Mio padre morì a trentasei anni: era tenero, amabile e morboso,
come un essere destinato solo a passare oltre - piuttosto un ricordo bene-
volo della vita, che la vita stessa. Nello stesso anno in cui la sua vita decli-
nò, declian anche la mia: nel trentaseiesimo anno la mia vitalità toccò il
punto più basso, - vivevo ancora, tuttavia senza vedere a tre passi davanti
a me. Allora - era il 1879 - lasciai la cattedra di Basilea, passai l'estate a
St. Moritz, come un'ombra, e l'inverno seguente, il più privo di sole della
mia vita, a Naumburg, era un'ombra Fu il mio minimum: «Il viandante e
la sua ombra», nacque in quel periodo. Senza alcun dubbio allora mi in»
tendeva di ombre... L'inverno seguente, il mio primo inverno genovese,
quell'addolcimento e quella spiritualizzazione che un estremo impoveri-
mento del sangue e dei muscoli comporta quasi inevitabilmente, portò alla
nascita di Aurora. La Iimpideua perfetta e la serenità, l'esuberanza quasi
dello spirito, che quest'opera riflette, si accordano in me non solo con la
più profonda debolezza fisiologica, ma addirittura con un eccesso di sensa-
zioni dolorose. Nel martirio che mi causava un'ininterrotta emicrania di
tre giorni consecutivi, accompagnata da un penoso vomito di muco, -
possedevo una chiarezza dialettica par excellence ed esaminavo con grande
sangue freddo cose per le quali, in migliori condizioni di salute, non sono
uno scalatore sufficientemente ardito. sufficientemente raffinato, suffi-
cientemente freddo. i miei lettori sanno forse fino a qual punto io conside-
ri la dialettica come un sintomo di décadence. per esempio nel caso più fa-
moso: quello di Socrate. - Tutti i turbamenti morbosi dell'intelletto, an-
che quel mezzo stordimento che segue alla febbre, mi sono rimasti fino ad
oggi completamente estranei: ho dovuto informarmi sui libri della loro na»
tura e della loro frequenza. Il mio sangue scorre lentamente. Nessuno ha
mai potuto accertare la febbre su di me. Un medico, che mi curò a lungo
come malato di nervi. disse alla fine: «no! i suoi nervi non hanno niente,
sono io che sono nervoso». In definitiva nessuna degenerazione locale ac-
certabile; nessun mal di stomaco di natura organica, per quanto sappia,
come conseguenza di un esaurimento generale, di una fortissima debolezza
del sistema gastrico. Anche il dolore agli occhi, che si avvicina a volte, pe-
Page 12
340 ECCE nono
ricolosamente. alla cecità, è solo una conseguenza, non una causa: di mo-
do che ogni accrescimento della forza vitale ha accresciuto la forza v' va.
Guarigione vuol dire, per me, una lunga, troppo lunga serie di anni, - si-
gnifica purtroppo anche ricaduta. declino, periodicità di ogni genere di dé.
cadente. Ho forse bisogno di dire, dopo tutto ciò, che sono esperto in ma-
teria di décadence? La ho sillabata da ogni lato. E anche quell'arw della fi-
ligrana dell'afferrare e comprendere in generale, quel tocco per le nuances,
quell'attitudine psicologica a «vedere dietro l'angolo», e ogni altra cosa
che mi distingue, l'ho imparata allora, è il vero dono di quel tempo nel
quale ogni cosa si affinò in me, l'osservazione come tutti gli organi dell'os-
servazione. Partendo dall'ottica del malato, considerare i concetti e i valori
più sani. poi, al contrario, partendo dalla pienezza e dalla sicurezza di sé
della vita ricca, guardare in basso, nel lavoro segreto dell'istinto di déta»
dence - questo è stato il mio esercizio più lungo, la mia vera e propria
esperienza, se sono stato maestro in qualche cosa lo sono stato qui. Ora
l'ho in mano, mi sono fatto la mano a rovesciare le prospettive: ragione
prima per la quale a me solo, forse, è possibile una «trasvalutazione dei va-
lori», --
2.
Indipendentemente dal fatto che sono un décadent, sono anche il suo
contrario. Prova ne è, tra l'altro, che contro le condizioni spiacevoli ho
sempre scelto, istintivamente, gli strumenti adatti: mentre il décodent in sé
sceglie sempre gli strumenti che lo danneggiano. Come summa summarum
ero sano; ma nel dettaglio, nella peculiarità ero décadenr. Quell'energia
per conquistare un assoluto isolamento e distacco dalle condizioni abituali,
la violenza con la quale mi sono imposto di non lasciami più curare, servi-
re, coccolare dai medici - tutto questo tradisce l'assoluta sicurezza dell'i_
stinto per quanto riguarda ciò di cui allora. avevo soprattutto bisogno. Mi
presi in mano, mi guarii io stesso: la condizione per questo - ogni fisiolo-
go lo ammetterà -- è che si sia fondamentalmente sani. Un essere tipica-
mente morboso non può guarire, tanto meno guarirsi; per uno tipicamente
sano, al contrario. la malattia può essere addirittura un energico stimolan-
te al vivere, al vivere-di-più. E cosi infatti che mi appare ora quel lungo pe-
riodo di malattia: scoprii, per così dire, di nuovo la vita, me stesso incluso.
gustai tutte le cose buone. anche le piccole cose, come altri non avrebbero
facilmente potuto gustarle, - feci della mia volontà di salute, di vita, la
mia filosofia... Poiché, si faccia attenzione, gli anni della mia minore vita-
lità furono quelli in cui cersai di essere pessimista: l'istinto dell'autoristabi-
lirsi mi proibiva una filosofia della povertà e dello scoraggiamento... E da
cosa, in fondo, si riconosce l'essere benriuscr'lo'! Dal fatto che un uomo
benriuscito fa bene ai nostri sensi: dal fatto ch'è tagliato in un legno dur0.
tenero e profumato al tempo stesso. Gli piace solo ciò che gli si conviene; il
suo piacere, il suo desiderio cessano non appena la misura di ciò che con-
viene viene superata. Ein indovina i rimedi contro le ferite, utilizza a su0
vantaggio le disavventure; ciò che non lo uccide lo rende più forte. Racco-
glie istintivamente, di tutto ciò che vede, ode, vive, la sua somma: è un
principio selettivo, elimina molte cose. È sempre nella sua società, sia che
tratti con libri, uomini o paesaggi: onora in quanto sceglie, in quanto con'
cede. in quanto da fiducia. Reagisce lentamente ad ogni tipo di stimoli;
con quella lentezza alimentata in lui da una lunga prudenza e da una deli-
berata fiereua - esamina la sollecitazione che giunge, è ben lontano dal-
PERCHÉ sono cosi snooro 341
l'andarle incontro. Non crede alla «disgrazia», né alla «colpa»: sa chiudere
con sé, con gli altri, sa dimenticare, « è forte abbastanza perché tutto deb-
ba venire a suo vantaggio. - Ebbene, io sono l'opposto di un décadent:
poiché ho descritto appunto me stesso.
3.
Considero un grande privilegio aver avuto un tale padre: i contadini da'
vanti ai quali predicava - poiché egli era stato pastore, negli ultimi anni,
dopo aver vissuto alcuni anni alla corte di Altenburg " dicevano che un
angelo avrebbe dovuto assomigliargli. - E qui tocco il problema della raz-
za. lo sono un nobiluomo polacco pur sang, in cui non c'è neppure una
goccia di sangue cattivo e tantomeno di sangue tedesco. Se cerco la più
profonda antitesi di me stesso, l'incalcolabile volgarità degli istinti, trovo
sempre mia madre e mia sorella, w credermi imparentato con una tale ca<
naille sarebbe una bestemmia contro la mia divinità. Il trattamento che ri»
cevo, fino a questo momento, da parte di mia madre e di mia sorella m'i-
spira un indicibile orrore: qui è all'opera una perfetta macchina infernale,
con infallibile sicurezza sul momento in cui si può ferire a sangue _ nei
miei momenti più alti... perché allora manca ogni forza per difendersi con-
tro questo velenoso vermicaio La contiguità fisiologica rende possibile
una tale disharmonia praestabrhta... Ma lo confesso che l'obiezione più
profonda contro l'«eterno ritorno», il mio pensiero propriamente abissale.
sono sempre la madre e la sorella. - Ma anche come polacco lo sono un
terribile atavismo. Bisognerebbe risalire i secoli, per trovare questa razza,
la più nobile che mai ci sia stata sulla terra, con la purezza d'istinto con la
quale io la rappresento. lo ho contro tutto ciò che oggi si chiama noblesse.
un sovrano sentimento di distinzione - non accorderei al giovane impera-
tore tedesco l'onore di essere il mio cocchiere. C'è un unico caso nel quale
riconosco un mio uguale - lo confesso con profonda gratitudine. La si-
gnora Cosima Wagner è di gran lunga la natura più nobile; e, per non tace-
re nulla. dirò che Richard Wagner è stato l'uomo di gran lunga più affine a
me... Il resto e silenzio . tutti i concetti dominanti sui gradi di parentela
sono un controsenso fi ologico, che non può essere superato. il papa ha
ancor oggi commercio con questo controsenso. Si è apparentati meno di
tutti con i propri genitori: sarebbe il segno estremo della volgarità essere
apparentati con i propri genitori. L'origine delle nature più elevate risale
infinitamente più indietro. per arrivare ad esse si è dovuto raccogliere, ac-
cumulare, risparmiare per un tempo lunghissimo. I grandi individui sono i
più antichi: non lo capisco, ma Giulio Cesare potrebbe essere mio padre -
oppure Alessandro, questo Dioniso vivente... Nell'attimo in cui scrivo tut-
to questo. la posta mi porta una testa di Dioniso. ..
4.
Non ho mai compreso l'arte di prevenire gli altri contro me stesso -- de-
vo anche ciò al mio incomparabile padre - anche quando questo sarebbe
stato per me di grande importanza. Anzi, per quanto anticristiane possa
Sbmbrare, non sono neppure io prevenuto contro me stesso. Si può rigirarc
la mia vita in ogni senso, non vi si troverà, ad eccezione di un unico casoZ
traccia alcuna del fatto che qualcuno abbia avuto cattive intenzioni nei
miei confronti, - troppe tracce forse. invece, di buone intenzioni... Perfi-
no le mie esperienze con persone con le quali chiunque fa esperienze nega
Page 13
842 ECCE nono
rive, parlano, senza eccezione, a loro favore; io addomestico gli orsi, indu_
co i pagliacci a comportarsi decentemente. Nei sette anni durante i quali ho
insegnato greco nella classe superiore del Pàdagogium di Basilea. non ho
avuto alcuna occasione per infliggere una punizione; i più pigri erano dili-
genti con me. Sono sempre all'altezza del caso; devo essere impreparato
per poter essere padrone di me stesso. Qualunque sia lo strumento, per
quanto scordato, come solo lo strumento «uomo» può esserlo »- dovrei es-
sere malato, per non riuscire a trarne qualcosa di ascoltabile. E quante vol_
te mi è stato detto da questi stessi «strumenti» che non si erano ancora mai
sentiti suonare a quel modo... Nel modo più bello, forse, che quell'l-leim
rich von Stein, morta con imperdonabile precocità, il quale una volta, do-
po averne scrupolosamente richiesto il permesso, apparve per tre giorni a
Sils-Maria, chiarendo a tutti che non era venuto per l'Engadina. Quest'uo-
mo eccellente, che si era tuffato con tutto l'impetuoso candore di uno Jun-
ker prussiano nella palude wagneriana (e oltre a ciò anche nella palude di
Diihringl) fu quasi trasformato, in quei tre giorni, da un impetuoso vento
di libertà, come uno che si trovi improvvisamente sollevato alla sua altezza
e provvisto di ali. Gli dicevo sempre che era effetto della buona aria di las-
sù, che succedeva a tutti, che non per nulla si era a 6000 piedi sopra Bay-
reuth, - ma non mi voleva credere... Se ciò nonostante è stato commesso
verso di me qualche piccolo o grande misfatto, non è stato a causa della
«volontà» e ancor meno della cattiva volontà: dovrei piuttosto lamentarmi
_ ne ho appena accennato - della buona volontà che ha portato non po-
chi turbamenti nella mia vita. Le mie esperienze mi danno il diritto di diffi_
dare, in generale, delle cosiddette tendenze «disinteressate», di tutto «l'a-
more del prossimo» sempre pronto al consiglio e all'azione. Per me, esso è
in sé debolezza, un caso particolare dell'incapacità di resistere agli stimoli
- la compassione e una virtù solo per i décadents. Rimprovero alle anime
compassionevoli il fatto che facilmente vien loro meno il pudore, il rispet-
to, il delicato senso delle distanze, che la compassione prende, in un bale-
no, il sentore della plebe e assomiglia, fino a confondervisi, alle cattive ma-
niere, che le mani . ' oli, in alcune ' ,. avere
un effetto addirittura devastatore in un grande destino, in una solitudine
ferita, nel privilegio di una grave colpa, lo annovero il superamento della
compassione tra le virtù aristocratiche: la «Tentazione di Zarathustra» è la
rappresentazione poetica del caso del grande grido d'aiuto che giunge fino
a lui, quando la compassione, come un estremo peccato, vuole sopraffar-
lo, vuole allontanarlo da se stesso. Padroneggiarsi in questo moment0.
mantenere pura dagli impulsi molto più bassi e miopi, che agiscono nelle
cosiddette azioni disinteressato, l'altezza del proprio compito, questa è la
prova, la prova estrema, forse, che uno Zarathustra deve superare - 12
sua vera prova di forza...
5.
in un altro punto ancora io sono, ancora una volta, mio padre e in certo
Qual modo la sua sopravvivenza dopo una morte anche troppo prematura-
Al pari di colui che non è mai vissuto tra i suoi simili e al quale il concetto
di «ritorsione» e inaccessibile quanto la nozione di «parità di diritti». i0 mi
proibisco, nei casi in cui è stata commessa contro di me una piccola 0 una
enorme pazzia, ogni rappresaglia, ogni misura difensiva, _- e com'è giual0
anche ogni difesa, ogni «giustificazione». Il mio genere di rappresaglie
consiste nel far seguire il più rapidamente possibile una cosa intelligente a
r
PERCHÉ SONO così snooro 843
una sciocchezza: così, forse, la si recupera. Per usare una metafora: spedì-
560 un vaso di confitures per liberarmi di una storia inacidita... Basta che
mi si faccia del male e io saprò contraccarnbiarlo, di questo si può star si-
curi: trovo presto un'occasione per manifestare la mia gratitudine al «mal-
t'attore» (e magari proprio per il suo misfatto) - o per chiedergli qualcosa,
ciò che può essere più vincolante del dare qualcosa... Mi sembra anche che
la parola più grossolana, la lettera più grossolana siano ancor più benevo-
le, più oneste del silenzio. A quelli che tacciono manca quasi sempre finez-
za e gentilezza di cuore; tacere è un'obiezione, sopportare produce necessa-
riamente un brutto carattere, -- rovina addirittura lo stomaco. Tutti i si-
lenziosi sono dispeptici. - Si veda come io non vorrei saper sottovalutata
la grossolanità, essa è di gran lunga la forma più umana della contraddù
zione e, tra le cattive abitudini moderne, una delle nostre prime virtù. - Se
si è abbastanza ricchi per questo, è addirittura una fortuna avere torto. Un
dio che venisse sulla terra non potrebbe fare null'altro che torti, - prende«
re su di sé la colpa, e non la pena, questo solo sarebbe divino.
6.
La libertà del ressentiment, la chiara visione del ressentimen! - chissà,
infine, quanto anche per questo io debba esser grato alla mia malattia! Il
problema non è proprio semplice: bisogna averlo vissuto attraverso la for»
za e attraverso la debolezza. Se, in generale, bisogna affermare un qualche
cosa contro lo stato di malattia, di debolezza, e appunto il fatto che in que-
sto stato il vero istinto di guarigione, che e I 'islt'nlo combattivo e di ensivo
dell'uomo, si infiacchisce. Non ci si sa liberare da nulla, non si sa venire a
capo di nulla, non si sa respingere nulla, -- tutto ferisce. Uomini e cose si
avvicinano con invadenza, le esperienze colpiscono troppo a fondo, il ri-
cordo è una ferita in suppurazione. Il fatto stesso di essere malati e una
sorta di ressentiment. - Contro ciò, il malato ha un unico grande rimedio
- io lo chiamo il fatalìsmo russo, quel fatalismo senza ribellione, per il
quale un soldato russo a cui la guerra diventa troppo dura, si abbandona
infine nella neve. Soprattutto non prendere più niente, non prendere più
niente su di sé, non prendere più niente in sé, '- soprattutto non reagire
più... La grande ragione di questo fatalismo, che non è sempre solo il co-
raggio di morire, come elemento di conservazione della vita nelle circostarr
le più minacciose per la vita stessa, sta in un abbassamento del metabolù
fimo, nel suo rallentamento, in una sorta di volontà di letargo. Un paio di
passi ancora in questa logica e si ha il fachiro, che dorme per settimane in
una tomba... Poiché ci si consumerebbe troppo rapidamente, se d'altra
parte si reagisse, non si reagisce più: questa è la logica. E con nulla si bru-
cia più in fretta che con le passioni del ressentiment. La rabbia, la vulnerav
bilità morbosa, l'incapacità. di vendicarsi, il desiderio, la sete di vendetta,
l'intossicare in ogni senso - questo è certamente, per chi è stremato, il
modo più negativo di reagire: comporta un rapido dispendio di forza ner«
vosa, un morboso aumento di secrezioni nocive, ad esempio della bile nello
stomaco. Il resserm'ment è per il malato la cosa proibita in sé -* il sua ma-
le: purtroppo anche la sua tendenza più naturale. -- Lo comprese quel
Profondo fisiologo che fu Buddha. La sua «religione», che si potrebbe de-
finire meglio come igiene per non mescolarla a cose tanto miserevoli come
il cristianesimo, faceva dipendere la sua efficacia dalla vittoria sul ressenti-
mem: renderne libero l'animo '- primo passo verso la guarigione. «Non
per mezzo dell'inirnicizia si pone termine all'inimicizia, con l'amicizia si
Page 14
844 ecce nono
porrà fine all'inimicizia»: queste parole stanno all'inizio della dottrina di
Buddha - così non parla la morale, cosi parla la fisiologia. - Il ressenzf.
meni, nato dalla debolezza, non e dannoso a nessuno più che al debole
stesso, - nel caso opposto, dove la premessa è una natura ricca, un senti
mento superfluo, un sentimento di cui restare padroni è quasi la prova del_
la ricchezza. Chi conosce la serietà con la quale la mia filosofia ha intra-
preso la lotta contro i sentimenti di vendetta e il risentimento, fino a giun-
gere alla dottrina del «libero arbitrio» - la lotta contro il cristianesimo ne
è solo un particolare -- comprenderà perché io metta qui direttamente in
luce il mio comportamento personale, la sicurezza del mio istinto nella
prassi. Nei momenti di décadence io li proibii a me stesso perché dannosi;
non appena la vita fu di nuovo ricca e orgogliosa a sufficienza per questo,
meli proibii in quanto al di sotto di me. Quel «fatalismo russo» del quale
ho parlato emergeva in me con il fatto che io mantenevo tenacemente per
anni, dopo che si erano dati una volta per caso, situazioni, luoghi, abita-
zioni, compagnie quasi insopportabili, - era meglio che cambiarli, che
sentirli modificabili, »- che rivoltarsi contro di loro... che mi si disturbasse
in questo fatalismo, che mi si svegliasse con violenza, era un fatto per il
quale mi offendevo a morte: - in verità era anche, ogni volta, mortalmen«
te pericoloso. » Prendere se stessi come un fato, non volersi «diversamen-
te» - in tali circostanze questa è la grande ragione stessa.
7.
Altra cosa è la guerra. A modo mio sono guerresco. Attaccare fa parte
dei miei istinti. Poter essere ostile, essere ostile: questo presuppone forse
una natura forte, in ogni caso è presupposto di ogni natura forte. Essa ha
bisogno di ostacoli, di conseguenza essa cerca gli ostacoli: il pathos aggres-
sivo appartiene necessariamente alla forza, tanto quanto il sentimento di
vendetta e il risentimento appartiene alla debolezza. La donna. ad esem-
pio, è vendicativa: questo è proprio della sua debolezza, come la sua sensi-
bilità di fronte alle pene altrui. - La forza dell'attaccante trova una sorta
di criterio di misura nel nemico di cui ha bisogno: ogni crescita si rivela
nella ricerca di un avversario o di un problema più potente: perché un filo»
sofo che sia combattivo sfida a duello anche i problemi. Il compito non è
quello di dominare le resistenze in generale, ma quelle contro le quali si de'
ve impiegare tutta la propria forza, la propria duttilità e abilità nell'uso
delle armi, - avversari di pari valore... Parità con il nemico - condizione
prima per un duello leale. Dove si disprezza non si può far guerra; dove si
comanda, dove si vede qualcosa sotto di sé, non si deve far guerra. - La
mia prassi di guerra può essere compreso in 4 principi. Primo: attacco solo
cose che sono vittoriose, - in alcune circostanze aspetto fino a che siam)
vittoriose. Secondo: attacco solo cose contro le quali non troverei nessun
alleato, contro le quali sono solo, - contro le quali mi compromette io so-
lo Non ho mai fatto pubblicamente un passo che non mi compromettes
se: questo è il mio criterio del giusto agire. Terzo: non attacco mai persone.
- mi servo della persona solo come di una potente lente di ingrandimento.
con la quale si può rendere visibile uno stato di disagio generale, ma stri-
sciante, difficilmente afferrabile. Così ho attaccato David Strauss, o più
esattamente il successo di un libro senilrnente debole nella «cultura» tede-
sca, - ho colto quella cultura sul fatto... Così ho attaccato Wagner, 0 Più
esattamente la falsità, l'istintiva incongruenza della nostra «civiltà.» che
confonde i raffinati con i ricchi, gli ultimi rappresentanti di un periodo 60"
PERCHÉ. sono cosi sacroro 345
i grandi. Quarto: attacco solo cose dalle quali sia esclusa qualsiasi diver-
genza personale, dove manchi ogni retroscena di brutte esperienze. A1 con-
trario, attacczue è, per me, una dimostrazione di benevolenza e, in detcr'
minatc circostanze, di gratitudine. Associando il mio nome a una cosa, a
una persona io le rendo onore, la distinguo: pro o contro - per me è lo
stesso. Quando faccio guerra ed cristianesimo ne ho il diritto, perché non
ho subito, da quella parte, né disgrazie né ostacoli, - i cristiani più seri so-
no sempre stati ben disposti nei miei confronti. lo stesso, avversario de ri-
gueur del cristianesimo, sono ben lontano da volerne ai singoli per ciò che
è una fatalità millenaria.
E.
Posso osare accennare ancora ad un ultimo tratto della mia natura, che
nel mio rapporto con gli uomini mi pone non poche difficoltà? Mi è pro-
pria un'eccitabilità, assolutamente inquietante, dell'istinto di pulizia, di
modo che percepisco fisiologicamente - adoro, la vicinanza o - che di-
co? - l'interiorità più profonda, le «viscere» di ogni anima... Possiedo, in
questa eccitabilità, antenne psicologiche con le quali palpa e afferro ogni
segreto: la molta sozzura nascosta nel fondo di certe nature, determinata
forse da un sangue cattivo, ma Verniciata dall'educazione, mi si palesa già
dal primo contatto. Se ho osservato bene, anche queste nature, intollerabili
per la mia pulizia, avvertono, dal canto loro, la circospezione del mio di-
sgusto: non per questo diventano più profumate... Cosi come sono sempre
stato abituato -- un'estrema onestà nei miei confronti è la condizione per
la mia esistenza, morirei in situazioni contaminate - nuoto, faccio il ba-
gno e sguazzo continuamente, per così dire, nell'acqua. in un qualche ele-
mento perfettamente trasparente e scintillante. Ciò fa si che il mio rappor-
to con gli uomini sia una non piccola prova di pazienza; la mia umanità
non consiste nel partecipare al sentimento dell'uomo qual egli è, ma nel
reggere a tale partecipazione... La mia umanità è un costante superamento
di me stesso. Ma io ho bisogno di solitudine, voglio dire di guarigione, di
ritorno a me, di respirare un'aria libera, lieve, giocosa... Tutto il mio la»
rarhustra è un ditirambo sulla solitudine, o, se sono stato compreso. sulla
purezza... Per fortuna non sulla pura pazzia. - Chi ha occhi per i colori lo
chiamerà adamamino... Il disgusto per l'uomo, per la «canaglia» è stato
sempre il mio maggior pericolo... Vogliamo ascoltare le parole nelle quali
Zarathustra parla dell'affrancamenlo dal disgusto?
Cosa mi accade dunque? Come mi affrancai dal disgusto? Chi rin-
giovani il mio occhio? Come potei volare ad altezze dove nessuna ca-
naglia siede più alla fonte?
Il mio stesso disgusto mi creò ali ed energie presagire di sorgenti?
In verità ho dovuto volare ai vertici delle altezze per ritrovare l'origi-
ne del piacere!
Oh, io l'ho trovata, fratelli! Qui sulla vetta scaturisce per me l'ori-
gine del piacere! E vi è una vita alla quale la canaglia non beve!
Quasi con troppo impeto scorri per me, sorgente del piacere! E
spesso, volendo riempirla, torni a vuotare la coppa.
E devo ancora imparare ad avvicinarmi a te con maggior mode
stia: ancora con troppo impeto ti scorre incontro il mio cuore:
- il mio cuore, sul quale brucia la mia estate, la breve, ardente,
Page 15
846
esca HOMO
malinconica. felicissima: come anela il mio cuore estivo alla tua pre»
senza!
Trascorsa l'indugiante tristezza della mia primavera! Trascorsi i
fiocchi di neve della mia cattiveria di giugno! Non sono più che esta-
te e meriggio estivo. -
- un'estate sulle vette con fredde sorgenti e felice silenzio: oh, ve.
nite, amici, perché il silenzio diventi ancor più felice!
Poiché questa è la nostra altezza e la nostra pat : troppo alto,
troppo ripido è il luogo dove abitiamo per tutti gli impuri e la loro
sete.
Gettate il vostro occhio puro nella sorgente del mio piacere, ami-
ci! Come potrebbe intorbidarsi per questo? Egli vi sorriderà con la
sua purezza.
Sull'albero del futuro noi costruiamo il nostro nido; aquile debbo»
no portare il cibo, nel loro becco, a noi solitari!
In verità, non un cibo al quale possono cibarsi gli impuri! Crede-
rebbero di mangiare fuoco e si brucerebbero le fauci.
in verità, noi non abbiamo qui rifugi per gli impuri! Una caverna
di ghiaccio sarebbe peri loro corpi, e per i loro spiriti, la nostra feli-
Cllfl.
E come venti vigorosi noi vogliamo vivere al di sopra di loro, vici-
ni alle aquile, vicini alla neve, vicini al sole: cosi vivono i venti vige.
rosi.
E, simile a un vento, voglio soffiare un giorno tra loro, e, con il
mio spirito, togliere il respiro al loro spirito: cosi vuole il mio avveni-
re
In verità, Zarathustra è un vento violento per tutte le pianure: e
tale e il suo consrglro ai suoi nemici e a tutto quanto sputa e vomita:
guardatevr dallo sputare contro vento!
Perché sono cosi accorto
- Perché ne so un po' di più? Perché, in generale. sono cosi accorto?
Non ho mai riflettuto su problemi che non fossero tali, - non mi sono mai
sprecato. - Ad esempio, non conosco per esperienza le vere e proprie dif-
ficoltà religiose. Mi e completamente sfuggito in che senso dovrei essere
«peccatore». _ Allo stesso modo mi manca un criterio valido su cosa sia
un rimorso: da ciò che se ne sente dire un rimorso non mi sembra nulla di
notevole... Non vorrei piantare in asso un'azione per quel che ne è stato
dopo, preferirei lasciare completamente fuori da un giudizio di valore l'esi-
to negativo, le conseguenze. in presenza di un esito negativo si perde persi-
no troppo facilmente la giusta visione di ciò che si è fatto: un rimorso mi
sembra una sorta di «malocchio». Tenere tanto più in considerazione qual-
cosa che è fallito, proprio perché è fallito - questo piuttosto appartiene
alla mia morale. - «Dio», «immortalità dell'anima», «redenzione», «al di
là», tutti concetti ai quali, anche da bambino, non ho dedicato nessuna atf
tenzioue, e neppure il mio tempo w forse non sono mai stato abbastanza
infantile per questo? _- Non conosco affatto l'ateismo come risultato. an«
cor meno come avvenimento: esso mi è congeniale per istinto. Sono troppo
curioso, troppo problematico, troppo irriverente, per accontentarmi di
una risposta cosi piattamente grossolana. Dio è una risposta piattamente
grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori -«, in fondo, persino un
grossolano divieto nei nostri confronti: non dovete pensarci... In modo
ben diverso mi sta a cuore un problema dal quale, molto più che da una
qualsiasi curiosità da teologi, dipende la «salvezza dell'umanità»: il pro-
blema dell'alimentazione, Per comodità lo si può formulare così: «come
devi nutrirti esattamente, tu, per ottenere il massimo della forza, della vir-
tù in senso rinascimentale, di virtù scevra d'ipocrita moralità?» - Su que-
sto punto le mie esperienze sono le peggiori possibili; sono stupito di aver
avvertito cosi tardi questa domanda, di aver imparato da queste esperienze
così tardi la «ragione». Solo la completa futilità della nostra cultura tede«
sca - il suo «idealismo» - mi spiega. in una certa misura, perché proprio
a questo riguardo io fossi di un'arretratezza tale da confinare con la santi»
tà. Questa «cultura», che insegna fin dall'inizio a perdere di vista la realtà
per mettersi alla caccia di cosiddette finalità «ideali», assolutamente pr0«
blematiche, per esempio della «cultura classica»: - come se non fosse
condannata all'insuceesso, fin dall'inizio, l'unificazione in un unico con-
cetto di «classico» e «tedesco»! Non solo, tutto da ridere « si pensi, per
esempio, a un cittadino di Lipsia dotato «di cultura classica»! - lnvero,
fino agli anni della mia maturità ho sempre mangiato male. o, per espri-
merci in termini morali, «impersonalmente», «disinteressatamente», «al-
truisticamente», alla salute dei cuochi e degli altri confratelli cristiani. Gra-
zie alla cucina di Lipsia negai, ad esempio, molto seriamente, nel periodo
Page 16
848 ECCE HOM0
dei miei primi studi su Schopenhauer (1865), la mia «volontà di vivere».
Rovinarsi anche lo stomaco ai fini di un'alimentazione insufficiente, - la
suddetta cucina sembrava risolvere questo problema in modo felice e am»
mirevole. (Si dice che nel l866 si sia prodotta una svolta -.) Ma la cucina
tedesca in genere - cosa non ha sulla coscienza! La minestra prima del
pranzo (chiamata alla tedesco già nei libri di cucina veneziani del XVI seco-
lo); le carni troppo cotte, le verdure rese grasse e iarinose; la degenerazione
dei dolci in fermacarte. Se vi si aggiunge inoltre il bisogno addirittura be_
stiale dei «vecchi», ma non soltanto dei vecchi tedeschi, di bere dopo aver
mangiato, si capirà anche l'origine dello spirito tedesco '- l'intestino in di_
sordine... Lo spirito tedesco è un'indigestione, non assimila nulla. - Art»
che la dieta inglese tuttavia, che paragonata a quella tedesca, persino a
quella francese, è una sorta di «ritorno alla natura», cioè al cannibalismo,
ripugna profondamente al mio istinto; mi sembra che essa dia allo spirito
piedi pesanti -- piedi da donne inglesi... La cucina migliore è quella pie.
montare. 4 Gli alcolici mi sono dannosi; un bicchiere di vino o di birra al
giorno è quanto basta per fare della mia vita una «valle di lacrime», - i
miei antipodi sono a Monaco. Pur ammettendo che tutto questo l'abbia
capito un po' tardi, l'ho però vissuto fin da bambino. Da ragazzo credevo
che bere vino. come fumare, fosse, all'inizio, solo una vanitas da giovanop
ti, poi una cattiva abitudine. Forse anche il vino di Naumburg è responsa-
bile di questo duro giudizio. Per credere che il vino rendesse allegri avrei
dovuto essere cristiano, cioè avrei dovuto credere, ciò che per me è un'as-
surdità. È abbastanza strano, ma mentre piccole dosi d'alcool, molto dilui-
te mi procurano un'estrema irritazione, divento quasi un marinaio se si
tratta di dosi forti. Già da ragazzo questa era la mia prodezza. Scrivere e
poi anche ricopiare, in una notte, una lunga dissertazione in latino, con
nella penna l'ambizione di imitare il mio modello Sallustio, nel rigore e
nella densità, e innaffiare il mio latino con un GROG ad altissimo potenzia-
le. quand'ero scolare nella veneranda Schulpforta, tutto questo non era af-
fatto in contrasto con la mia fisiologia e forse neppure con uella di Sallu-
stio - per quanto lo fosse con la veneranda Schulpforta...% vero che più
tardi, verso la metà della vita, mi decisi, con sempre maggior rigore, ad es-
sere contro ogni specie di bevanda «spiritosa»: io, avversario per esperien-
za del regime vegetariano, proprio come Richard Wagner che mi ha con-
vertito, non potrò mai consigliare con sufficiente fermezza a tutte le nature
più spirituali. L'assoluta astensione dagli alcolici. È sufficiente l'acqua...
lo prediligo i luoghi dove si ha dovunquel'occasione di attingere a sorgenti
vive (Nizza, Torino, Sils); un bicchierino mi accompagna dappertutto, co-
me un cane. In vino veritas: pare che anche qui sia di nuovo in disaccordo
con il mondo sul concetto di «verità»: in me lo spirito si libra sull'acqua...
Ancora un paio di indicazioni sulla mia morale. E più facile digerire un pa'
sto copioso che uno troppo leggero. Che lo stomaco tutto intero entri in at-
tività è questa la prima condizione per una buona digestione. Bisogna cd
nascere le dimensioni del proprio stomaco. Per lo stesso motivo sono scon-
sigliabili quei pranzi noiosi, da me chiamati cerimonie sacrificali interrotte.
che sono i pasti alla table d'hóte. - Nulla fuori pasto, nessun caffè: il caf'
le rende tetti. Il tè e salutare solo al mattino. Poco, ma forte; il tè e mol-
to dannoso e infiacchisce tutta la giornata, se è troppo leggero, anche solo
di poco. In queste cose ognuno ha la sua misura, spesso tra i limiti più I}-
dotti e più delicati. In un clima molto snervante il tè è sconsigliabile all'im-
zio della giornata: bisogna iniziare un'ora prima con una tazza di cacao
sgrassato e molto denso. - Restare seduti il meno possibile; non presta!
PERCHÉ sono cosi ACCORTO 349
fede a nessun pensiero che non sia nato all'aperto e in movimento, - nel
quale anche i muscoli non abbiano la loro festa. Tutti i pregiudizi vengono
dai visceri. - La immobilità - l'ho già detto una volta - è il vero peccato
contro lo spirito santo. -
2.
Al problema dell'alimentazione e strettamente unito il problema del luo-
gn e del clima. Nessuno è libero di vivere dappertutto; e chi deve realizzare
grandi compiti, che esigono tutta la sua forza, ha qui una possibilità di
scelta molto limitata. L'influsso del clima sul metabolismo, i suoi impedi-
menti, le sue accelerazioni hanno tanto peso che una mossa falsa nella scel-
ta del luogo e del clima non solo può estraniare qualcuno dal suo compito,
ma addirittura nasconderglielo: egli non lo scorgerà mai. Il vigor animale
non diventerà mai così grande in lui da raggiungere quella libertà traboc-
cante fino ai vertici della spiritualità, laddove un uomo può riconoscere:
questo posso farlo io solo... Un'inerzia intestinale, anche lieve, diventata
una brutta abitudine, è quanto basta per fare di un genio qualcosa di me-
diocre, qualcosa di «tedesco»; è sufficiente il solo clima tedesco per sco-
raggiare intestini forti e anche eroici. Il ritmo del metabolismo e in preciso
rapporto con la mobilità o la paralisi dei piedi dello spirito; lo «spirito»
stesso non è che un modo di questo metabolismo. Si mettano insieme i tuo»
ghl dove vi sono e vi sono stati uomini ricchi di spirito, dove arguzia, raffi-
natezza, la cattiveria erano parte integrante della felicità, dove il genio si
ambientava quasi per necessità: hanno tutti un'aria notevolmente asciutta.
Parigi, la Provenza, Firenze, Gerusalemme, Atene - questi nomi dimo-
strano una cosa: il genio è condizionata dall'aria asciutta, dal cielo puro,
- cioè da un metabolismo rapido, dalla possibilità di attirare continua-
mente a sé grandi, quasi immense, quantità di forza. Ho davanti agli occhi
il caso di uno spirito notevole e libero che divenne ristretto, rattrappito,
specialista e acido per l'assenza di raffinatezza d'istinto per quanto riguar-
da il clima. E io stesso infine avrei potuto diventare un caso simile, posto
che la malattia non mi avesse costretto alla ragione, alla riflessione sulla
ragione nella realtà. Ora che, grazie a un lungo esercizio, leggo in me, co-
me in un raffinatissimo e preciso strumento, gli effetti d'origine climatica e
meteorologica, e già in un breve viaggio, ad esempio da Torino a Milano,
calcolo fisiologicamente in me il mutamento del grado di umidità dell'aria,
penso con terrore al fatto inquietante che la mia vita, fino agli ultimi dieci
anni, gli anni mortalmente pericolosi, e trascorsa sempre e soltanto in luo-
ghi sbagliati e per me addirittura proibiti. Naumburg, Pforta, la Turingia
in generale, Lipsia, Basilea - altrettanti luoghi infausti per la mia fisiolo-
gia. Se generalmente non ho ricordi piacevoli di tutta la mia infamia e la
mia giovinezza, sarebbe una pauia attribuirne la responsabilità alle cosid»
dette cause «morali», - ad esempio alla indiscutibile assenza di una com-
pagnia conveniente: poiché questa assenza sussiste oggi come sempre, sen'
la impedirmi di essere sereno e coraggioso. Ma l'ignoranza in physiologicis
' il maledetto «idealismo» - è la vera sciagura della mia vita, quanto vi è
in essa di superfluo e di stupido, qualcosa da cui non e venuto niente di
buono, per cui non vi è compenso né contropartita. Dalle conseguenze di
questo «idealismo» mi spiego tutti i passi falsi, tutte le grandi aberrazioni
dell'istinto e le «modestie» estranee al compito della mia vita, ad esempio
il fatto che io sia diventato filologo - perché non medico almeno, 0 qual-
cos'altro che facesse aprire gli occhi? Al tempo di Basilea il mio intero regi-
Page 17
850 ECCE HOMg
me spirituale, compresa la divisione della giornata, era uno spreco assolu.
tamente insensato di forze straordinarie, senza un afflusso di energie che
coprisse in qualche modo il consumo, senza neppure una riflessione sul
consumo e il ricambio, Mancava ogni più raffinato egoismo, ogni prole.
zione dell'istinto di comando, era un porsi al livello di chicchessia, un «al_
truismo», un dimenticare le distanze, - qualcosa che non mi perdonerà
mai. Quando fui quasi alla fine. proprio perché ero quasi alla fine, comirp
ciai a riflettere su questa fondamentale insensatezza della mia vita - l'«i-
dealismo». Solo la malattia mi ha portato alla ragione. '
3.
La Scelta dell'alimentazione; la scelta del clima e del luogo; - la terza
cosa sulla quale a nessun costo si può fare un passo falso è la scelta del
proprio modo di riposarsi. Anche qui, a seconda del grado in cui uno spiri-
to è suigeneris, i limiti di ciò che gli è permesso, cioè di ciò che gli è utile, si
restringono sempre più. Nel mio caso ogni lettura appartiene alla categoria
di ciò che mi riposa: di ciò che mi stacca, cioè, da me stesso, che mi per-
mette di vagare in scienze e in anime sconosciute, _ di ciò che non prendo
più sul serio. La lettura mi riposa proprio della mia serietà. Nei periodi di
grande lavoro non si vedono libri intorno a me: mi guarderei dal lasciare
che qualcuno parlasse, o perfino pensasse la mia presenza. E leggere signi-
ficherebbe proprio questo... Si è veramente osservato che in quella profon-
da tensione alla quale la gestazione condanna lo spirito e in fondo l'intero
organismo, il caso, ogni sorta di eccitamento esterno ha un effetto troppo
violento, «sferza» troppo in profondità? Per quanto è possibile, bisogna
evitare il caso, l'eccitamento esterno; qualcosa come un murarsi dentro di
sé è una delle principali istintive astuzie della gestazione spirituale. Permet-
terò che un pensiero estraneo scali di nascosto questo muro? Leggere signi»
ficherebbe proprio questo... Ai periodi di lavoro e di fecondità segue il
tempo del riposo: avanti, voi, libri piacevoli, ricchi di spirito, intelligenti!
' Saranno libri tedeschi?... Devo tornare indietro di sei mesi per sorpren-
dermi con un libro in mano. Di che si trattava? Un notevole studio di Vic-
tor Brochard, Les Sceptiques Grecs, nel quale sono ben utilizzati anchei
miei Laertinna. Gli scettici, l'unico tipo rispettabile nel popolo dal doppio
e quintuplo senso. il popolo dei filosofi! . Del resto trovo quasi sempre
scampo negli stessi libri, pochi in fondo, i libri che hanno dimostrato di es-
serc per me. Forse non sono tipo da leggere molto e di molti generi: una sa-
la di lettura mi fa star male. Non sono neppure il tipo da amare molte cose
e di specie diversa. La cautela, perfino l'ostilità peri nuovi libri appartiene
al mio istinto, più che la «tolleranza», «La Inrgeur du coeur», e altri «amo
ri del prossimo»... in fondo quello a cui ritorno sempre è un piccolo nume-
ro di vecchi francesi: credo solo alla cultura francese *« e tutto ciò che in
Europa viene generalmente chiamato «cultura», per non parlare della cui
tura tedesca e per me un equivoco... l rari casi di cultura superiore che ho
incontrato in Germania erano sempre di origine francese, a cominciare d_31-
la signora Cosima Wagner, di gran lunga la voce più alta che abbia sentth
in fatto di gusto... Che io non legga, ma ami Pascal come la vittima p"!
istruttiva del cri i' ' » ' ' lent prima f' ' _ ' _P°!
psicologicamente, con tutta la logica di questa forma, tra le più terribili, dl
crudeltà inumana; che io abbia nello spirito, chissà. forse. anche nel fisico.
qualcosa della prepotenza di Montaigne; che il mio gusto d'artista. prcflda
sotto la sua protezione, non senza rabbia, contro un genio selvaggio come
PERCHÉ SONO cosi acconro 851
Shakespeare, i nomi'di Molière, Corneille e Racine: tutto ciò, in fondo,
non esclude che anche i francesi più recenti siano per me una compagnia
charmante. Non vedo proprio in quale secolo della storia si possono pesca»
re tutti insieme psicologi cosi curiosi e contemporaneamente cosi delicati
come quelli che si trovano oggi a Parigi: nomino a caso - poiché il loro
numero non è piccolo - i signori Pani Bourget, Piene Loti, Gyp. Mell-
hac, Anatole France, Jules Lemaitre, o, per indicarne uno di razza forte,
un vero latino, al quale sono particolarmente affezionato, Guy de Maupas»
5ant. lo, detto tra noi, preferisco questa generazione persino ai suoi grandi
maestri, che sono tutti quanti guastati dalla filosofia tedesca: il signor Tai'
ne, a esempio, da Hegel, al quale deve l'incomprensione di grandi uomini e
grandi epoche. Ovunque giunga. la Germania guasta la civiltà. in Francia
solo la guerra ha «liberato» lo spirito. . Stendhal, uno dei casi più belli del-
la mia vita -e perché tutto ciò che in essa fa epoca, mi è giunto per caso,
mai per una raccomandazione - è inestimabile con il suo sguardo precur-
sore di psicologo, con la sua presa sulla realtà, che ricorda la vicinanza del
massimo realista (ex ungue Napoleonem -); infine, e non è il merito mi-
nore, è un ateo onesto, una specie: rara in Francia, e quasi introvabile -
ad onore di Prasper Mérimée... Forse sono io stesso invidioso di Stendhal?
Mi ha sottratto la migliore battuta da ateo che proprio io avrei potuto fare:
«L'unica giustificazione di Dio è che non esiste»... lo stesso ho detto da
qualche parte: qual è stata finora la maggior obiezione contro l'esistenza?
Dio...
il più elevato concetto di poeta lirico me l'ha dato Heinrich Heine. Cer-
co invano in tutti i regni dei millenni una musica ugualmente dolce e appas'
sionata. Egli possedeva quella divina malizia senza la quale non so imma_
ginare la perfezione, - lo valuto il valore degli uomini, delle rane, dalla
coscienza che essi hanno della necessaria inseparabilità di Dio dal satiro.
- E come tratta la lingua tedesca! Si dirà un giorno che Heine e io siamo
stati di gran lunga i massimi artisti della lingua tedesca - a incalcolabile
distanza da tutto ciò che ne hanno fatto i Tedeschi comuni. -- Devo avere
una comunanza profonda con il Manfredi di Byron: trovo in me tutti que-
sti abissi, - a tredici anni ero maturo per quest'opera. Non rivolgo una
parola, ma appena uno sguardo, a quelli che, di fronte al Manfredi, osano
pronunciare il nome di Faust. l Tedeschi sono incapaci di ogni concetto di
grandezza: la prova è Schumann, lo stesso, per la rabbia contro questo
Sassone dolciastro, ho composto una contro-ouverture al Manfredi, della
quale Hans von Bùlow disse che non aveva mai visto nulla di simile su car-
ta da musica: che era lo stupro di Euterpe. - Se cerco per Shakespeare la
mia formula più sublime, trovo sempre soltanto la stessa, cioè che egli ha
concepito il tipo di Cesare. Cose del genere non si indovinano, - 0 si è co-
si o non lo si è. Il grande poeta crea solo dalla propria realtà - fino al
punto che, dopo, non sopporta più la propria opera... Quando getto uno
sguardo al mio Zarathustra, vado avanti e indietro nella stanza per una
mezz'ora, incapace di dominare un'insostenibile crisi di singhiozzi. - Non
Conosco lettura più straziante di Shakespeare: che cosa deve aver sofferto
un uomo per aver a tal punto bisogno di fare il pagliaccio! _ Qualcuno
Comprende Amleto? Non il dubbio, la certezza è ciò che rende folle... Ma
bisogna essere profondi, bisogna essere abissi, bisogna essere filosofi per
sentire cosi... Noi tutti temiamo la verità... E, devo riconoscerlo: sono
Page 18
852 ECCE HOMQ
istintivamente sicuro e certo che Lord Bacon è il creatore di questo genere,
il più inquietante, di letteratura, colui che di questa si è torturato a mo'
d'esperimento: cosa mi importa delle chiacchiere miserevoli di Americani
dalle teste confuse e piatte? Non solo invero la forza della più poderosa
realtà nella visione è compatibile con la forza più poderosa nell'azione,
nella mostruosità dell'azione, nel crimine - essa la presuppone addiritrw
m... Siamo lontani dal saperne abbastanza su Lord Bacon, il primo reali»
sta in tutti i grandi significati della parola, per sapere tutto ciò che ha fat-
to, ciò che ha voluto, ciò che ha sperimentato in se stesso... E al diavolo,
signori critici! Posto che avessi battezzato il mio Zarathustra con un nome
diverso, per esempio con quello di Richard Wagner, la sagacia di due mil-
lenni non sarebbe stata sufficiente per indovinare che l'autore di Umano,
troppo umana è il visionario di Zarathustra...
5.
Qui, dove parlo dei conforti della mia vita, è indispensabile una parola
per esprimere la mia gratitudine per ciò che in essa mi ha ristorato nel mo-
do di gran lunga più profondo e benevolo. Ciò è stata, senza alcun dubbio,
la mia intima vicinanza a Richard Wagner. Non tengo in gran conto tutti
gli altri miei rapporti umani; non vorrei sottrarre dalla mia vita, a nessun
prezzo, i giorni di Tribschen, i giorni della fiducia, della gaiezza, dei casi
sublimi « degli istanti profondi... Non so cosa altri abbiano vissuto con
Wagner: sul nostro cielo è mai passata una nuvola. - E con ciò torno an-
cora una volta alla Francia, - non ho argomenti, ho solo una smorfia
sprezzante per i wagneriani et hocgenus omne, che credono di far onore a
Wagner trovandolo simile a se stessi... Estraneo come sono, nei miei istinti
più profondi. a tutto ciò che e tedesco, tanto che la sola vicinanza di un te»
desco mi ritarda la digestione, il primo contatto con Wagner segnò anche il
primo momento della mia vita in cui respirai a fondo: lo sentii, lo venerai
come un paese straniero, come antitesi, come protesta vivente contro tutte
le «virtù tedesche». h Noi, che siamo stati bambini nella palude degli anni
Cinquanta, siamo necessariamente pessimisti sul concetto di «tedesco»;
non possiamo essere nient'altro che rivoluzionari _ non ammettererno
nessuno stato di cose in cui domini il bigotta, Mi e completamente indiffe-
rente se si riveste oggi di altri colori, se si ammanta di scarlatto. se indossa
l'uniforme degli ussati Bene! Wagner era un rivoluzionario - egli fuggi-
va davanti ai Tedeschi In quanto artisti non si ha altra patria in Europa
che Parigi; la delicatesse in tutti i cinque sensi dell'arte, che l'arte di Wa-
gner presuppone, il tocco per le nuances, la morbosità psicologica, tutti)
questo si trova solo a Parigi. In nessun altro luogo si ha questa passione
per i problemi della forma. questa serietà nella mise en scène -- è la serietà
parigina par eXCellence. In Germania non si ha la minima idea della enor-
me ambizione che vive nell'anima di un artista parigino. Il tedesco è bona-
rio - Wagner non era per nulla bonario... Ma ho spiegato già a sufficiem
za (in Aldilà del bene e del male, p. 256), dove dobbiamo situare Wagnerv
dove si trovino i suoi affini più stretti: è il tardo romanticismo francese,
quel genere d'artisti che volano in alto e che trascinano verso l'alto come
Delacroix, come Berlioz, con un fonti di malattia, di congenita insanabili-
tà, tutti fanatici dell'espressione, virtuosi in tutto e per tutto... Chi fu il
primo seguace intelligente di Wagner? Charles Baudelaire, lo stesso che
comprese per primo Delacroix, quel tipico décadent nel quale si è ricono'
sciuta un'intera generazione di artisti - forse fu anche l'ultimo... CDsai
PERCHÉ sono cosi acconro 853
non ho mai perdonato a Wagner'l Di aver accondisceso ai Tedeschi -_ di
essere diventato un tedesco dell'impero... Dovunque la Germania arrwt,
guasta la civiltà. -
6.
Tutto considerato, non avrei sopportato la mia giovinezza senza la musi:
ca wagneriana. Poiché ero condannato ai Tedeschi. Se ci si vuol liberare di
una pressione insopportabile, si ha bisogno dell'harchish. Ebbene, io ave:
vo bisogno di Wagner. Wagner e, par exceilence, l'antidoto contro tutti I
Tedeschi, un veleno, non lo contesto... Dal momento in cui_apparve una
riduzione per pianoforte del Tristano - i miei complimenti, signor.von
Biilow! -, fui wagneriano. Le opere precedenti di Wagner le vedevo tnfe:
riori a me - ancora troppo comuni, troppo «tedesche»... Ma ancor _oggi
cerco un'opera con lo stesso pericoloso fascino, con la stessa terribile e
dolce infinità del Tristano -_ cerco invano in tutte le arti. Tutti i misteri di
Leonardo da Vinci perdono il loro incanto alle prime note del Tristano.
Quest'opera è senz'altro il non plus ultra di Wagner; egli si riposo di que-
st'opera con i Maestri cantori e L'anello. Diventare piu sani _« e un regres»
sa in una natura come quella di Wagner... Ritengo un'enorme fortuna l'a-
ver vissuto al tempo giusto, e proprio tra i Tedeschi, per essere maturo per
quest'opera: tanto lontano giunge, in me, la curiosità dello psicologo. Il
mondo è povero per colui che non è stato mai abbastanza malato per que-
sta «voluttà dell'inferno»: e consentito, è quasi obbligatorio, adoperare
qui una formula mistica. - Penso di conoscere meglio di chiunque altro i
prodigi di cui Wagner è capace, i cinquanta mondi di ignote estasi per i
quali nessuno oltre a lui aveva avuto le ali; e poiché, per come sono fatto,
sono forte abbastanza per volgere a mio vantaggio anche l'elemento più
problematico e pericoloso e diventare con ciò ancor più forte, chiamerò
Wagner il maggior benefattore della mia vita. Ciò in cui Siamo affini, l'a-
ver sofferto anche l'uno a cagione dell'altro, più profondamente di_quanto
gli uomini di questo secolo possano mai soffrire, riunirà per l'eternità i no_
stri nomi; e come è certo che Wagrier è solo un fraintendimento tra i'Tede-
schi, cosi lo sono io e lo sarò sempre. Per prima cosa due secoli di discipli-
na psicologica e artistica, signori Germanil... Ma questa è una cosa che
non si ricupero. -
Aggiungerò ancora una parola per le orecchie più sottili: ciò che io vo-
glio esattamente dalla musica. Che essa sia gaia e profonda, come un me»
riggio d'ottobre. Che sia strana, sfrenata, tenera, una piccola donna dolce,
piena di malizia e di grazia... Non ammetterà mai che un tedesco possa sa-
pere cos'è la musica. Quelli che son chiamati musicisti tedeschi, e soprat-
tutto i più grandi, sono stranieri, Slavi, Creati, Italiani, Qlandesi - o
Ebrei; diversamente sono Tedeschi della razza forte, Tedeschi estinti, come
Heinrich Schtitz, Bach e Hàndel. Io stesso sono ancor sempre abbastanza
polacco per dare in cambio di Chopin tutto il resto della musica: faccro ec-
cezione, per tre motivi, per L'idillio di Sigfrido. di Wagner, forse anche
per Liszt, che nei nobili accenti orchestrali è superiore a ogni altro campo-I
Sitore; e infine per tutto ciò che si è sviluppato al di là delle Alpi - al di
qua... Non vorrei tralasciare Rossini, e ancor meno mm Sud nella musi:
fa. la musica del mio maestro veneziano Pietro Gastr. E quando dico al di
Page 19
85' ecce Homo
la delle Alpi, dico in effetti soltanto Venezia. Se cerco un'altra parola per
la musica, trovo sempre e soltanto la parola Venezia. Non esiste per me
differenza tra musica e lacrime - non posso immaginare la felicità, il Sud
senza un brivido di sgomento. '
Stavo sul ponte
poco tempo fa nella bruna notte.
Di lontano giungeva un canto:
gocce dorate scorrevano
sulla superficie tremante.
Gondole, luci, musica -
ehbre si perdevano nel Crepuscolo."
La mia anima. un suono di violino
a sé cantava, toccata da dita invisibili,
segretamente, un canto di gondoiieri,
tremando di felicità multicolore
« L'ha udita mai qualcunol...
8.
ln'tutto ciò - nella scelta dei cibi, del luogo e del clima, del riposo -
domin_a un istinto di autoconservazione, che nel modo più netto si esprime
come istinto di autodifesa. Non vedere, non udire, non farsi avvicinare da
molte cose - prima astuzia, prima dimostrazione che non vi è un caso,
bensì una necessità. La parola corrente, per questo istinto di autodifesa, e
gusto: il suo imperativo non ci ordina solo di dire no, dove il si sarebbe se-
gno di «altruismo», ma anche di dire no i! meno possibile. Separarsi, divi-
derst da ciò dove il no sarebbe continuamente necessario. La ragione di ciò
sta nel fatto che le spese difensive, anche minime, diventando regola, abi-
tudine, determinano un impoverimento straordinario e assolutamente su-
perfluo. Le nostre grandi spese sono le piccole spese che si ripetono. Il di-
fendersi, il non lasciarsi avvicinare è una spesa - non ci Si inganni qui _-,
upa_forza sprecata per fini negativi. Unicamente per la costante necessità
di difendersi, si può diventare troppo deboli per potersi ancora difendere.
f Posto che esca dalla mia casa e trovi, invece della tranquilla e aristocra-
tica Tonno, una piccola città tedesca: il mio istinto dovrebbe barricarsi per
respingere tutto ciò che preme su di lui da questo mondo piatto e codardo.
E se trovassr una grande città tedesca, questo vizio divenuto città, dove
non cresce nulla, dove ogni cosa, buona e cattiva, e importata? Non dovrei
allora farmi istrit'e? - Ma avere aculei è uno spreco. addirittura un doppio
lusso, quando sarebbe possibile non avere aculei, sibbene mani aperte...
Un'altra astuzia e autodifesa consiste nel fatto di reagire il più raramerr
[epossibile e di sottrarsi a situazioni e condizioni nelle quali ci si trovereb-
be costretti a esporre, per cosi dire, la propria «libertà», la propria iniziati-
va_e diventare un semplice reagente. Prendo a paragone il rapporto coni liv
bn._ll dotto, che in fondo si limita a «eompulsare» i libri - circa duecento
al giorno per il filologo di capacità media - perde alla fine completamente
la capacità di pensare da solo. Se non compulsa non pensa. Quando pensa,
risponde a uno stimolo (- un pensiero letto) - alla fine non fa che reagi-
re. il dotto pone tutta la sua energia nel dire si e no, nella critica del già
pensato, -- egli stesso non pensa più .. L'istinto d'autodifesa si è rammob
lito; diversamente si rivolterebbe contro i libri. il dotto - un décndent- -'
L'ho vrsto con i miei occhi: nature dotate, ricche e nate per essere libere
«ammazzare dalla lettura» già. a trent'anni, ridotti ormai a fiammiferi, che
bisogna strofinare perché diano scintille -- «pensieri» '-. Leggere un libro
PERCHÉ sono cosi ACCORTO 855
di prima mattina, al giungere del giorno, nella piena freschezza, lnell'auro-
ra della propria forza, questo io lo chiamo vizio! -«
9.
A questo punto non si può più fare a meno di dare la vera risposta alla
domanda come si diventa ciò che si è. Arrivo così al capolavoro nell'arte
de ' vazitme - l' ' .. I cioè che il r' , la
determinazione, il destino del compito sia molto al di sopra della media,
nessun pericolo sarebbe maggiore di vedere se stessi di fronte a questo
compito. Divenire ciò che si è presuppone che non si indovini neppure lori»
tanamentc ciò che si e. Da questo punto di vista anche i passi falsi della vi-
ta hanno il loro senso e il loro valore, le temporanee deviazioni e gli svia-
menti, le esitazioni, i «pudori», la serietà sprecata in compiti che stanno al
di là del compito. in ciò si manifesta una grande accortezza, a dirittura la
massima astuzia: laddove il nasce te ip.rum sarebbe il mezzo pi sicuro per
perdersi. il dimenticarsi, il fraintendersi, il ridursi, il limitarsi, il mediocriz«
zarsi diviene ora la ragione stessa. Per dirla in termini morali: l'amore del
prossimo, una vita dedicata agli altri e alle altre cose può essere la regola di
difesa per il mantenimento del più rigido senso di sé. E il caso eccezionale
nel quale, contro la mia regola e la mia convinzione, prendo partito per gli
impulsi «disinteressati»: essi lavorano, qui, al servizio dell'egoismo. del-
l'autvdisciplina. - Bisogna tenere sgombra tutta intera la superficie della
coscienza - la coscienza è una superficie - da qualsiasi grande imperati«
vo. Attenzione anche alle grandi parole, ai grandi atteggiamenti! Tutti pe-
ricoli che l'istinto «si comprenda» troppo presto. Nel frattempo, nel pro-
fondo, cresce sempre di più l'«idea» organizzatrice. l'idea chiamata al do-
minio, - essa comincia a comandare, riconduce lentamente indietro dalle
deviazioni e dagli sviarnenti, prepara singole qualità e capacità, che si di«
mostreranno un giorno indispensabili come strumento per il tutto, -- essa
forma successivamente tutti i poteri subalterni, prima ancora di far cono-
scere qualcosa del compito dominante, della «mera», dello «scopo», del
«senso». - Considerata da questo punto di vista, la mia vita è semplice
mente prodigiosa. Per il compito di una trasvalutazione dei valori erano
forse necessarie maggiori capacità quelle che si sono trovate a coesistere in
una sola persona, e soprattutto contrapposizioni di poteri cui non è dato
tuttavia disturbarsi o distruggersi. Gerarchia dei poteri; distanza; l'arte di
separare senza inimicare; non mescolare nulla, non «conciliare» nulla, una
' " ' ' enorme, che ' ante e 1' (f del caos - questo era
il presupposto, il lungo lavoro segreto, la maestria del mio istinto. La sua
superiore protezione si è dimostrata così forte che in nessun caso ho anche
soltanto presentito ciò che cresceva in me, -» e tutte le mie attitudini sono
balzate fuori un giorno all'improvviso, mature, in tutta la loro perfezione.
Non ricordo di essermi mai sforzato, non c'è traccia di [alla nella mia vita.
io sono l'opposto di una natura eroica. «Volere» qualcosa, «tendere» a
qualcosa, avere in vista uno «scopo», un «desiderio» -- tutto ciò io non lo
conosco per esperienza. In questo stesso attimo guardo al mio futuro -- un
futuro vasto! -- come a un mare piatto: nessun desiderio lo increspa. Io
non voglio in alcun modo che qualcosa diventi diverso da ciò che è; io stes-
so non voglio diventare diverso. Ma è cosi che ho sempre vissuto. Non ho
avuto alcun desiderio. Qualcuno che possa dire, alla fine del suo quaranta-
quattresimo anno, che non ha mai cercato di ottenere, onori. donne, dena'
ro! -- Non che mi siano mancati... Così, ad esempio, sono stato un tempo
Page 20
856 ECCE Homo
professore di università, - non avevo pensato niente di simile, neppure di
lontano, poiché avevo solo 24 anni. Cosi, due anni prima. a un certo pun_
to, ero diventato filologo: nel senso che il mio primo lavoro filologico, il
mio inizio, in tutti i sensi, fu richiesto dal mio maestro, Ritschl, per pubbli-
carlo nel suo Rher'nisches Museum (Ritschl - lo dico con venerazione -
l'unico dotto geniale che lo abbia incontrato fino ad oggi. Possedeva quel-
la amabile corruzione, che distingue noi della Turingia e che rende simpati»
co perfino un tedesco: - noi preferiamo ancora le vie traverse anche per
arrivare alla verità. Con queste parole non vorrei affatto aver sottovaluta-
to il mio più vicino conterraneo, l'accorto Leopold von Ranke...).
10.
- Mi si chiederà perché ho raccontato proprio tutte queste cose, piccole
e, secondo il giudizio corrente, insignificanti; con ciò faccio danno a me
stesso, tanto più se fossi destinato a sostenere grandi compiti. Risposta:
queste piccole cose - alimentazione, luogo, clima, riposo, l'intera casisti-
ca dell'egoismo - sono infinitamente più importanti di tutto ciò che sino
ad oggi si è considerato importante. Proprio qui bisogna iniziare, per im-
parare in modo diverso. Ciò che fino ad oggi l'umanità ha preso sul serio
non sono neppure delle realtà, ma semplici fantasie o, più esattamente,
menzogne nate dai cattivi istinti di nature malate, dannose nel significato
più profondo - tutti i concetti di «dio», «anima», «virtù», «peccato», «al
di la», «verità», «vita eterna»... Ma in essi si è cercata la grandezza della
natura umana, il suo carattere divino... Tutti i problemi politici, dell'orga-
nizzazione sociale, dell'educazione sono stati falsati alla base dal fatto di
aver preso per grandi uomini gli uomini più dannosi, di aver insegnato a
disprezzare le «piccole cose», voglio dire le questioni basilari della vita
stessa... La nostra cultura attuale è ambigua al massimo grado... L'impe-
ratore tedesco che patteggia col papa, come se il papa non fosse il rappre
sentantc della mortale ostilità contro la vital... Ciò che viene edificato oggi
non ci sarà più tra tre anni. - Se mi misuro per ciò chepossa, per non par-
lare di ciò che verrà dopo di me, un sovvertimento, una costruzione senza
pari, allora ho diritto alla parola grandezza più di qualsiasi altro mortale.
Se ora mi paragono ain uomini che fino ad oggi sono stati onorati comei
primi, allora la differenza è palpabile. Io non conto questi protesi «primi»
neppure tra gli uomini in generale, - per me essi sono la feccia dell'umani-
tà. prodotti della malattia e di istinti vendicativi: essi sono tutti nonmomi-
ni innesti, fondamentalmente incurabili, che si vendicano della vita... Vo-
glio essere il loro opposto: il mio privilegio e di avere la massima raffina
tezza per tutti i segni degli istinti sani. Manca in me ogni segno patologico:
anche nei momenti di grave malattia io non sono mai diventato morboso:
si ccrcherebbe invano in me un tratto di fanatismo. In nessun momento
della mia vita si potrà indicare in me un atteggiamento arrogante o pateti-
co. 11 pathos dell'atteggiamento non appartiene alla grandezza; chi ha bi-
sogno di atteggiamenti èfalso... Attenzione alle persone pittoresche! -« La
vita mi ècliventata lieve, lievissima quando pretendeva da me le cose più pe-
santi. Chi mi ha visto durante i settanta giorni di questo autunno, in cui senza
intenzione, con il senso di responsabilità per i millenni che verranno, ho fatto
solo cose di prim'ordine che nessuno farà dopo di me -- o ha fatto primfl
- non avrà notato in me nessun segno di tensione, ma anzi una trabomafl'
te freschezza e serenità. Non ho mai mangiato con un senso di maggio
e piacere, non ho mai dormito meglio. - Non conosco altro modo che il
gioco per occuparsi di grandi compiti: come segno di grandezza è un pre-
supposto fondamentale. Il minimo sforzo, una espressione cupa, un accen-
to duro nella voce sono tutte obiezioni contro un uomo, ancor più contro
la sua operai. .. Non si possono avere i nervi. .. Anche soffrire di solitudine
è un'obiezione, - io ho sempre sofferto soltanto di «moltitudine»... In
un'età assurdamente prematura, a sette anni, sapevo già che mai parola
umana mi avrebbe raggiunto: mi si è mai visto turbato per questo? -- Ho
ancora oggi la stessa affabilità verso chiunque, sono anche pieno di consi-
derazione verso i più umili: in tutto ciò non c'è un grano di arroganza, di
segreto disprezzo. Colui che disprezzo indovina di essere disprezzato da
me: con la mia sola esistenza io irrito tutto ciò che ha sangue cattivo nelle
vene... La mia formula per ciò che vi e di grande nell'uomo è amor fari:
non voler avere nulla di diverso, né davanti né alle spalle, né in tutta l'eter-
nità. Non sopportare, semplicemente, l'ineluttabile e meno ancora dissi-
mularlo - ogni idealismo è menzogna di fronte all'ineluttabile f», m
1.
In previsione del fatto che fra breve dovrò affrontare l'umanità con le
sigenza più grave che le sia mai stata posta, mi sembra necessario dire chi
sono. In fondo è possibile che lo si sappia già: poiché non ho mai mancato
di «dare testimonianza di me». Ma la discrepanza tra la grandezza del mio
compito e la piccolezza dei miei contemporanei si manifesta nel l'atto che
non mi hanno udito o anche soltanto visto. Vivo a mio proprio credito,
forse è solo un pregiudizio, che io viva?... Mi basta solo parlare con un
qualche «dotto» che venga d'estate in Alta Engadina per convincermi che
non vivo. i. in queste circostanze c'è un dovere contro il quale, in fondo, la
mia abitudine e ancor più l'orgoglio dei miei istinti si rivolta, dire cioè:
Ascaltatemi! poiché la sono questo e quest'alfro. E soprattutto non con-
fondeiemi con altri!
2.
Ad esempio, io non sono affatto uno spauracchio, un mostro morale, -
io sono addirittura una natura opposta a quella specie d'uomo che fino ad
oggi è stata venerata come virtuosa. Detto fra noi, mi sembra che proprio
ciò inerisca al mio orgoglio. Sono un discepolo del filosofo Dioniso, prefe-
rirei piuttosto essere un satiro che un santo. Ma si lega dunque questo
scritto, Forse ce l'ha fatta, forse questo scritto non aveva altro scopo che
esprimere questo confronto in modo sereno e filantropico. L'ultima cosa
che io prometterei, sarebbe «correggere» l'umanità. Non erigerò nuovi
idoli; i vecchi possono cominciare ad imparare cosa comporta avere i piedi
d'argilla.-Rovesciure gli idoli (il mio temine per «idealin) - è questo,
piuttosto, che attiene al mio mestiere. La realtà è stata spogliata del suo va-
lore, del suo senso. della sua veracità, nella misura in cui si è inventato un
mondo ideale. il «mondo reale» e il «mondo apparente» - vedi: il mondo
inventato e la realtà... La menzogna dell'ideale è stata fino ad ora la male-
dizione scagliata contro la realtà, l'umanità stessa è diventata, per suo
mezzo, mendace e falsa, giù nei suoi istinti più sotterranei - fino al culto
dei valori inversi rispetto a quelli per mezzo dei quali le sarebbe stata ga-
rantita la crescita, il futuro, il solenne diritto all'avvenire.
3.
Chi sa respirare l'aria dei miei scritti, sa che è un'aria delle altitudini,
Hfl'ariaforte. Bisogna essere fatti per quell'aria, altrimenti non è piccolo il
fischio di raffreddarvisi Il ghiaccio è vicino, la solitudine immensa - ma
come giacciono tranquille nella luce tutte le cose! come si respira libera-
mente! Quante cose sentiamo sono di noi! La filosofia, come l'ho compre-
ECCE HOMO
Come si diventa ciò che si è
1888
Page 2
Traduzione condotta sull'originale tedesco «Ecce homo. Wie man wird, was man istv,4 "1
Nietzsche Werke. Kritische Gesamtausgabe, Hcrausgegeben van Giorgio Colli und Mazzm0
Mominari. Walter de Gruylcr, Berlin-New York, 1969.
Traduzione di Silvia Barxuli Cappelletto
Le pagine a cui rinvia l'Autore si riferiscono alla prima edizione delle sue opere.
Introduzione
il Caso Wagner, Crespuscolo degli idoli, L'Anticrìsto, Ecce homo, Diti'
rambi di Dioniso, Nietzsche contra Wagner: sono queste le opere che no-
scono nel 1888 dall'abbandono dei progetti relativi alla Volontà di potenza
e nelle quali Nietzsche condensa il vasto materiale di pensiero a quel fine
raccolto. I primi abbozzi di Ecce homo sono connessi alla stesura dell'ulti-
ma capitolo di Crepuscolo degli idoli, «Quel che devo agli antichi»; il pro-
getto di fare della propria autobiografia un'opera a sé stante matura poi in
Nietzsche nell'ottobre del 1888. Verso la metà di novembre, viene inviato
all'editore il prima manoscritto perla stampa, ma numerose furono le ag-
giunte e le correzioni che Nietzsche operò fino allafine di dicembre: di par-
ticolare importanza quelle volte a definire in ultima istanza i propri rap-
porti con Wagner e con la madre e la sorella'.
Nelle intenzioni di Nietzsche. Ecce homo doveva precedere la pubblica-
zione dell'Anticristo. che infatti non viene ancora menzionato tra le pro-
prie opere. anche se la una ' ' viene ' W. come l. ,, ' il
30 settembre e vengono citati passi della «Legge contro il cristianesimo»'.
Lo stesso posporre il Caso Wagner al Crepuscolo degli idoli, invertendo
l'ordine cronologico di composizione, permette a Nietzsche di concentrare
contemporaneamente nelle pagine finali della sua autobiografia I 'attaeno
ai Tedeschi. oggetto di una progettata «dichiarazione di guerra»', e quello
al u' ' ' come ' -' ' tutta la .. ' , creando
così quel crescendo di tensione che doveva precedere la pubblicazione deL
l'Anticrista «Misano assolutamente convinto di aver bisogno di un altro
scritto, uno scritto preparatorio in grado estremo, per potermi presentare.
all'incirca dopo un anno, col primo libro della Transvalutazione. Deve es'
sere creata una vera tensione _ altrimenti succederà come per lo Zarathw
stra»': è un motivo che ricorre spesso nelle lettere di quest'ultimo periodo
dell 'attività nietzseheanaquello di considerare le proprie opere come mo-
mento di una «agitazione» complessiva, quasi come «colpi» che devono es-
sere «sparati» una dopo l'altro seguendo una precisa strategia per impres-
sionare I 'opinione pubblica, per eostringerla ad ascoltare il proprio mes_
raggio. A questo fine, Nietzsche progetta anche di far tradurre Ecce homo
in francese e in inglese: analoghi tentativi di traduzione vengono contemA
' Per la storia della composizione di Ecce trama e per i problemi di alin'ane che tale tesm
comporta. sir. ««Sulla composizione delle opere e degli scritti postumi del 1888» e «Note al
team di Ecce homo». in Opere di Friedrich Nietzmhe. Edizione italiana diretta da 6. Colli e
M Mantinari, voli Vi, 3, Milano, 1970. pp 460-7l; pp 542-80.
2 (Itri Ecce homo. in questa edizione ppt 897-8. Nelle note successive verrà utilizzata la si-
Bli EH. seguita dall'indicazione della pagina.
' Sulla progettata «dichiarm'ane di guerra», di. Opere, vol. Vi, 3. cit.. pp. 585-7, e gli ab-
b'>22i rimasti in Opere di F. Nietzsche, vnl. vm, 3. Milano. 1974, va 413»6.
y' Cfr. la lettera all'editore Naumann del 6 novembre 1888. riportare in Opere. val. vi, 3,
"L, D. 438.
Page 3
822 ECCE HOMo
paraneamente condotti sia per il Caso Wagner che per il Crepuscolo degli
idoli, mentre per I 'Amicristo Nietzsche prevede addirittura traduzioni «in
tutte le più importanti lingue europee», calcolando una tiratura di un mi
liane di esemplari per ogni lingua? Il pensiero ormai deve diventare deci_
sione, deve essere evocato «un giorno della decisione» in cui I 'umanità as.
sumo su di sé il compito di una trasformazione dei valori: il 30 settembre
1888, giorno in cui fu terminato l'Anticristo, acquista un significato sim-
bolico, deve diventare un «di della salute», il «primo giorno dell'anno uno»',
Di questa «agitazione», di questa svolta del pensiero nella «decisione»,
nella prassi, Nietzsche non ha potuto però essere di persona la stratega: al
termine di quell 'autunno torinese così ricca, la cui luce è sempre sulla s'fon
da della propria autobiografia, il 9 gennaio 1889 Nietzsche viene condotto
via demente da Torino, accompagnato dall'amico Franz Overbeck. La fol-
lia che concludeva cosi drammaticamente il breve arco di una vita e di
un 'opera così nuova e problematica avrebbe acquistato un significato ern-
blematico di tutta una storia culturale - si pensi al Doktor Fauslus di
Thomas Mann -, ma avrebbe pesato moltissimo sulla lettura e sulla stessa
edizione delle ultime opere nietzscheane. Ecce homo fu pubblicato per la
prima volta solo nel 1908, sotto la particolare «censura» dell'ex-Archivio
Nietzsche e in particolare di Elisabeth FòrstenNietzsche, la sorella così da-
ramente colpita nella versione originale dell'opera; l 'Amlcristo era già sta-
to pubblicato tredici anni prima, nel 1895, mentre nel 1906 l'ex-Archivio
Nietzsche aveva pubblicato la «sua» edizione della Volontà di potenza,
considerata come l'opera principale e il centro di tutto il sistemafilosofico
che Nietzsche non sarebbe riuscito a compiere, rispetto alla quale tutte le
opere successive alla Zarathustra dovevano considerarsi solo frammenti; la
vita di Nietzsche infine era stata già conosciuta attraverso la voluminosa
biografia composta dalla sorella.
Contemporaneamente, a partire dall'ultimo decennio del XIX secolo, il
pensiero nietzscheano era uscito dalla ristrettissima cerchia dei suoi estima-
tori e aveva comincialo a diffondersi progressivamente in tutta la cultura
europea. Anche senza raggiungere le progettate tirature, e forse senza rap-
presentare un «destino», Nietzsche sarebbe comunque diventato non solo
una tappa obbligata di ogni itinerario intellettuale, ma anche una di quei
«grandi nomi» su cui si stratificano le più diverse incrostazioni della «sto«
ria», un «catalizzatore» di molteplici tensioni politico-spirituali che ancora
oggi non sembrano del tutto risolte. Proprio per questo, una lettura di
Nietzsche, e in particolare di un 'opera cosi «compromessa» come Ecce ho-
mo, costringe a un 'operazione preliminare di «restauro». Da una parte si
tratta di evitare ogni interpolazione tra l 'opera di Nietzsche e la storia della
Nietzsche-Rczepiion, quel'corto circuito mentale, così facile a scattare, che
da Nietzsche riporta immediatamente alla storia successi va. «Chi ha credu-
to di aver compreso qualcosa di me si è costruito, usando me, qualcosa a
sua immagine - non di rado un mio opposto, per esempio un "ideali-
sta"»': quest'esperienza fatta da Nietzsche stesso a proposito delle inten
pretozioni date del «superuomo» si è indubbiamente più volte ripetuta an-
che con altre «parole» della sua opera. Ancora oggi ad esempio Nietzsche
' Cfr. le lettere a Slrindbcrg, a Zimmem, a Brandcs, riportate in Opere, vol. VI. 3. N'-
446184
° (Iii. F. Nietzsche. Lî4nticrt'sto, in questo vol.. p. 818.
' EH. p. 358.
L
INTRODUZIONE m ALDO VENTURELLI 823
Passa per un profeta del vitalismo bellicista": eppure, a rileggere le pagine
di Ecce homo sulla guerra, una «guerra senza polvere da sparo e senza fa
ma, senza atteggiamenti bellicosi, senza pathos e senza membra slogate»',
si potrà facilmente comprendere quali colossali equivoci efraintendirnenti
siano spesso avvenuti nel leggere Nietzsche. Certamente anche questi equi-
wci devono essere tenuti presenti nel valutare il pensiero nietzscheano: ma
identificare questo con quelli non serve né a comprendere Nietzsche né tan-
tonzeno a comprendere perché determinati «slogans» siano stati estrapolati
dal contesto della sua opera e utilizzati anche nel processo di formazione
dell'ideologia del terzo Reich'°. Una non meno importante operazione di
restauro riguarda d'altra parte la lettura di Ecce homo nel contesto di tutto
il decorso dell'opera nielzscheana, senza quindi considerarla aprioristica-
mente come testimonianza «patologica» in cui rintracciare i segni della im-
minente follia. Il lavoro di composizione di Ecce homo testimonia con evi-
denza che «la lucidità letteraria, quella che noi vorremmo chiamare la "co-
- scienza di scrittore", in Nietzsche rimane assolutamente limpida fino all'uL
timo, fino alle soglie della "catastrofe". Questo, se mai, è un elemento che
vorremmo fosse aggiunto alla "patografia" di Nietzsche»". Non si tratta
certo di eliminare il crollo psichico dall'orizzonte della sua vita, per quanto
oggi, a distanza di tempo e privi perfino degli stessi documenti che potreb»
bero ricostruire la «logica» della follia nietzscheana, una analisi fruttuosa
del caso «clinico» Nietzsche risulti quasi impossibile: soltanto chela «paz-
zia imminente» rischia di divenire facilmente una chiave falsa di interpreta
zione cui ricorrere quando non si riesce a comprendere il testo nietzschea-
no, ricollocandolo nell'ambito complessivo della sua opera e della sua pro-
blematica. In questo ambito un significato, o almeno una delucidazione,
può essere trovato anche a ciò che a una prima lettura di Ecce homo può
apparire soltanto una «eccessiva autaubriacatura»'È la grande politica, il
presentarsi come destino, il mutamento di dati biografici, ecc. - tutto ciò
a un 'attenta lettura può essere compreso senza il richiamo alla follia.
«Un lettore come lo merito, che mi legga come i buoni filo/agi di una
volta leggevano il loro Orazio»": questa lettura che Nietzsche ha più volte
richiesta èforse l'unica possibilità di percepire il tono sottile, spesso ironi-
cc, pieno di nuances di Ecce homo, di penetrare nel labirinto in esso co'
struito, di avvicinarsi a quel modello di «lettore perfetto» delineato da
Nietzsche, «un mostro di coraggio e curiosità, con in più qualcosa di mal»
leabile, di astuto, di attento, un avventuriero e un esploratore nato»". For-
se anche così i'«enigma» Nietzsche resterà irrisolto - «Chi conosce me?...
Chi conosce Wagner?», chiedeva significativamente Nietzsche"s -, ma più
: Come fa 0. Mosse, Intervista sul nazismo, a cura di M.A. Lodeea, Bari, 1977. p. 46.
EH. p. 87|.
"' Sulla ricezione di Nietzsche durame il nazismo cfr. H. Lampada. Die Ausclnandersek
amg mi! Nietzsche im dritlen Reich. Ein Beitrag zar Wirkungsgerchichte Nietzscha. Kiel,
7l,cM. ' ' ',.,, 'su ' ci ' ' "' iuu;|, ' di
Alfred Bàumler)», in Studi tedeschi, xvn. 4, I974, pp. 49-7l.
" Cfr. M. Monilnarl, G. Colli, «Note al lesto di Ecce homo», in Opere, voi. v1, 3, Cil., p.
589. D'altronde lo stesso Freud vedeva proprio nella maestria della forma in EH una ragione
fondamentale per considerare «seriamente» tale opera a non trattarla soltanto come indicati-
va della imminente catastrofe psichica dell'autore: efr. la discussione su «Ecce homo» in Mi-
"ull! ofthe Vienna Psychoanalyttì' Society, vol. 2, New York, [962.
" Come apparve a l'em- Gut, cfr. la lettera I Overbeck del 27 febbraio 1889, riportata in
Opgre. vol. VI, 3, cit., p. 55l.
H EH, pp. 861.
Ivi. p. 860. .
" Cfr. l'abbozzo di lettera a Cosima Wagncr. riportato in Opere. vol. VI, 3, cit.. p. 475.
Page 4
824 ECCE quo
luce apparirà su quel complesso «gioco disegni» che Ecce homo 9. Perché
certo i «segni.» di Ecce homo non sono un semplice «racconto» della vita di
Nietzsche: già la mancanza di un decorso cronologico nel racconto, I 'orga.
mzzazrone attorno a determinati nuclei problematici, come accortezza, mg.
gazza, scrittura ecc, la scarsa presenza di «fatti» biografici, indicano come la
narrazione della propria vita venga da Nietzsche problematizzata, nasca da
un 'opera di astrazione e di consapevole strutturazione del suo significato.
L'immagine dell'autunno, di un autunno troppo ricco di frutti e di veni
tà, costellato di giorni di una «eguale indomabile perfezione»'°, che Nietz_
sche pone all 'inizio della sua autobiografia e alla cui ombra riguarda indie.
tra tutta la sua vita, sembrerebbe infatti radicalmente contrastare con il to-
no di molte lettere, solo di poco precedenti, che illuminano molto più di-
rettamente sullo stato d'animo in cui l'operafu scritta. Da esse emerge una
crisi esistenziale e una situazione fisica non diverse da quelle seguite alla
rottura con Wagner o all'affare Lou: ed è Nietzsche stesso a parlare di
«una recrudescenza delle mie sofferenze passate; che cela un profondo
esaurimento nervoso, a causa del quale tutta la macchina non funziona.
/. ..1 La forza vitale non è più intatta... >"'. Chiusa tra questa crisi profonda
che si protrae fino all'estate 1888 e il crollo definitivo dei primi giorni del
1889, la perfezione dell'autunno torinese scolpita in Ecce homo sembra
drasticamente ridimensionata, quasi l'ultimo sprazzo di vita prima della fi«
ne: e in effetti non si deve dimenticare il fondo di dolore, di sofferenza, l'e-
strema tensione intellettuale e psichica da cui nasce I 'affermazione nieto
scheana della vita. Forse non c'è opera che più di Ecce homo realizzi cosi
pienamente quella superficialità per profondità che Nietzsche vedeva nei
Greci: «forse questo scritto non aveva altro scopo» che esprimere «in mo-
do sereno e filaritropico» il contrasto tra satiro e santo", che riuscire a far
mare la «parodia» dalla «tragedia» della propria vita". È solo consideran-
da questo scarto tra arte e vita che si può comprendere in che senso l'opera
testimoni non solo una volontà di vita, ma sia, «in quanto creazione»,
«un 'aggiunta reale, un di più di quella vita stessa»", un vero e proprio
mettersi «in salvo»". E solo scrivendo iapropria vita che Nietzsche può su-
perarlo, può porsi al di là di essa, «giocare» con essa, sperimentarla.
Perché il gioco estetico con la propria vita presuppone la dissezione,
l'auto_tortura sperimentale di cui Nietzsche parla a proposito dell'Amic-
ro". E solo guardando alla vita attraverso una camera oscura, analizzan-
dola, facendone oggetto di ricerca, che essa può divenire problema; è solo
questa «chimica delle idee e dei sentimenti» che rende la vita un labirinto,
che ne allarga la sfera, ne infinitizza il finito, ne svela il gioco segreto degli
istinti, ridà valore al piccolo e al quotidiano. Ed è solo essa d'altronde a
mettere in luce il carattere «estetico» di ogni conoscenza, di ogni forma di
valutazione: non esiste cioè una verità oggettiva che possa essere ritrovata,
esiste invece il costruirsi della verità come processo infinita, come processo
:: EH, p. 2389; cfr, anche p. 838.
Ctr. lettera a Overbcck del 4 luglio 1863. riportata in Opere. vol. VI. 3, p. 432: cfr. anche
la lettera al medesimo del 12 novembre 1887, p. 428,
'" EH, p. 835.
W Per il ' dalla alla , cfr. la r ' alla seconda edizio»
ne» della «Gaia Scienza», in Opere di F. Nietzsche, vol. v. 2, Milano. i965, p. 14; cfr. anche
p. 2l)9 sul rapporto superficialità»profondità nei Greci.
Cir. il frammento preparatorio del prologo di «Ecce homo», in Opere voi. ml. 3, cil-. P'
avg.
-' co. EH, p. ras.
1' Cir. EH, o. 85L
m-rn0nuzronc m ALDO VENTURELLI 825
della nostra interpretazione, del nostro interrelarsi' e impadronirsi della
realtà. Quindi la verità è sempre in qualche modo soltanto per noi, è inevi-
tabilmente anche menzogna: solo in questo senso ogni forma di conoscen-
za è estetica, e solo per questo carattere di segno implicito in ogni cono
scenza" l'arte può essere la forma più alta di espressione, nella misura in
cui riesce a concentrare il massimo di potenza espressiva dei segni e il rap-
portarli direttamente a noi. Ed è questa operazione «estetica» che Nietz_
sche compie in Ecce homo, che non va certo frainteso per un «superiore
esercizio di stile»": per comprenderne la portata deve essere infatti consi-
derato tutto il lavoro di critica gnoseologica che è dietro questo rapporto
tra arte e scienza, tutta la svolta che si è compiuta nella storia della cono
scenza nel momento in cui il «mondo vero» è finito «per diventare favo-
la»" e che, nel momento stesso in cui distrugge lo spirito di «sistema», re»
stituisce un peso particolare alla personalità del filosofo.
La mancanza del racconto, I 'astrazione, la condensazione stilistica,
«questo minimum nell 'estensione e nel numero dei segni, questo maxi_
mum, in tal modo realizzato, nell'energia dei segni»", rivelano allora un
significato più profondo: in questa operazione «estetica» e infatti insita
tutta la capacità di potenziamento che l'interpretazione crea all'interno di
condizioni finite. Attraverso l'accettazione delle condizioni date, necessa-
rie, attraverso il tic ' degli ' ' ' ,, "" che« ' ' »
no la propria natura e che non possono essere modificati, «migliorati», è
possibile raggiungere quella nuova dimensione di vita che I Îamor lati rive-
la; attraverso l'interpretazione della propria vita è possibile «distillarla» e
scioglierla nell'eterno ritorno, riguardarla in quella prospettiva, afferman
la. Il pensiero dell'eterno ritorno non è tanto una visione ciclica del tempo,
quanto soprattutto I 'affermazione radicale, antimetafîsica del divenire:
quella che ritarda sono i quanta di energia presenti nel divenire, I 'energia
che non ha origine néfine, che non può essere modificata, quello che divie-
ne è però il modo di interpretare questi quanta, il processo attraverso il
quale si raggiunge un modo sempre più «economico» di utilizzazione di
questa energia. L'amor feti dunque non è una semplice accettazione passi
va del destino: lo stesso riconoscimento del dato, delfinito, svela nuove di-
mensioni della vita, Quella conoscenza fisiologica e psicologico che Nietz-
srhe ascrive a proprio vanto. Ma all'interno degli elementi finiti e immodi-
ficabili, la vita può essere ricostruita, interpretata, pur) appunto «divertire»
ciò «che è»: tutto quanto Nietzsche dice sulla propria malattia come condi-
zione della «grande ragione» della sua vita potrebbe inquadrarsi in questa
prospettiva. Il senso di perfezione e di compimento che si ritrova in Ecce
homo non riguarda allora le contingenze empiriche della biografia di
Nietzsche, ma la consapevolezza di aver adempiuto al proprio «compito»,
di aver sciolta la propria vita in quell'intreccio di cause che sempre ritorno,
di averla collocata nel corso del divenire. In quell'intreccio di cause, la
«messa agli atti»27 della propria vita conterà più della vita reale dell'uomo
1'" ' . la nza di vita. la " " ' di un amore più al-
lo, resteranno come «l'immortale lamenta di chi è condannato dalla so-
'" Anche in EH Nietzsche parla esplicitamente di «segni», cfrt p. 87 .
_ " Era questo il giudizio che Spitteler dava dello Zarathustra nella sua recensione sul Band
flfigrdata da Nietzsche in EH, cfr, p. 858.
2 Cfr. «Crepuscolo degli idolin, in Opere. voi. W, 3, cit., pp 7564
' CÎL F. Nietzsche, «Crepuscolo degli idoli». in voi. Vi. 3, delle Opere, cit., pp lS4-S.
" Di «messa agli am» della propria vita Nietzsche parla nella lettera a Fuchs del 27 dicem-
bre 1888, riportata in Opere, voi. vr, 3, cir., p. 457.
Page 5
826 ECCE HOMO
vrabbondanza di luce e di potenza, dalla propria natura solare, a non ama.
reti". E per questo avrebbe poco senso cercare di «smontare» Nietzsche n"
discendendo da Ecce homo alla sua vita reale. A una prima lettura, l'ope-
razione potrebbe sembrare molto facile: il prof. Nietzsche che parla di
grande politica e al massimo. riesce ad abbattere qualche scenario bayreu-
thiano, lo psicologo che non conosce il proprio inconscio, il conoscitore
dell 'Eterno Femminino che spaccia verità da quattro soldi sulle donne, il
dotto che vuol far finta di non leggere, il superuomo che non riesce a star,
corsi da madre e sorella, l 'ateo che adora profondamente di casa del pasto-
re, il solitario che costruisce la sua immagine pubblica potenziando fino al_
l'inverosimile episodi quasi trascurabili - la lettera di Oasi. la polemica
con Malwida van Meysenbug, piccole testimonianze d'affetto di fruttiven-
dole torinesi o contesse pietroburghesi..." Tutto insomma farebbe appari
re Ecce homo come prodotto di un transfert. come compensazione per una
vita cosi ristretta e povera di realtà. Ma il fatto stesso che Nietzsche con la
sua autobiografia si sia esplicitamente'proposto anche questo scopo di de»
mitizzazione e demistificazione, che polemizzi contro ogni atteggiamento,
che rifiuti fedeli a seguaci dovrebbe mettere in guardia da una lettura di
questo genere.
Perché resterebbe sempre da comprendere quale tipo di esperimento
Nietzsche abbia condotto con la propria vita, quale significato abbia il
compito che pensa di aver realizzato. Con Ecce homo la trasvalutazione ri-
guarda in primo luogo Nietzsche stesso. quel processo di superamento e di
affermazione di se stesso, che lo porta a presentarsi come «il primo uomo
come si deve»". In italiano, la parola «trasvalutazione» ha un suono parti-
colarmente vaga, inusitato, dove si perde molto il senso di trasformazione
e inversione dei valori che Nietzsche vi riconnette.' tmsvalutare non signifi-
ca affatto proporre nuove tavole di valori, ma una trasformazione dei va'
lori che nasce proprio da quell'operazione di analisi e di dissezione che ri-
vela l'inconscio in essi rimosso, il lato problematico e nascosto, «proibi-
to», che deve essere affermato e che comprende la relatività. la menzogna,
il carattere interpretativo e quindi anche «creativo» insito in ogni valore.
Al pari il superuoma non è un tipo ideale, «un genere superiore di uomo,
mezzo "santo" e mezzo "genio"»", ma indica il processo di superamento
della miseria «uomo» per l'affermazione di un suo più alto sviluppo, ap-
punto quel superamento di se stesso insito nel divenire ciò che si è. Perché
la vita e il divenire siano affermati è in primo luogo necessaria quella «li-
bertà da ogni fazione di fronte al problema generale della vita» che Nietz-
sche ascri ve alla fatalità della sua esistenztfî' è proprio il dolore, il pensiero
della morte cosi profondamente radicato già nell'infanzia. la malattia e la
prossimità della fine che permette 1 'essere al di là della vita stessa. E quindi
il riguardarla in tutta la sua totalità e complessità, I 'apprendere quella dotr
pia ottica dalla quale con l'«ottica del malato, considerare i concetti e i va-
lori pìù sani, poi, al contrario, partendo dalla pienezza e dalla sicurezza di
" EH. p. 883,
" Citi ad esempio il par. 2 di «Perché scrivo libri così buoni», in EH, pp. 859-860; "n ac-
cenno implicito in lettere di Malwìda van Meysenbug a proposito del Caso Wagner è conlflfl":
lo nella conclusione del paragrafo dedicato a quest'opera, cfr. p. 892; accenni ad espressioni
delle lettere di Gast sono ad esempio riscontrabili nel par. 3 di «Perché scrivo libri casi buo-
ni»ò cix. ppv 860-l.
' EH, p. 853.
" Ivi, p 859.
"2 Ivi. p. 839.
[NTRODUZION'E m ALDO VENTURELLI 827
sé della vita ricca, guardare in basso, nel lavoro segreto dell'islinto di déca»
dance»". Questo solo permette di «rovesciare le prospettive»", di acquisire
una visione della realtà che comprenda la mistificazione dell'ctideale», la
fuga dalla realtà che in esso si nasconde. Questa tendenza realistica, antii_
dealistim, che «divenuta dura e tagliente sotto i calpi di martello della co-
noscenza storica»" vuol recidere alla radice il «bisogno metafisico» dell'io
manità, è una delle tendenze predominanti di Ecce homo: Nietzsche vuole
riportare alla base materiale, intesa soprattutto come realtà psicologica e
fisiologica, le «idee» degli uomini, vuole ricondurle e adeguarle alla realtà
del divenire. Il rapporto con Wagner e Schopenhauer ha fatto troppo spes-
so dimenticare che Nietzsche viene dopo Feuerbach e la sinistra hegeliana:
eppure ancora nel! 'Antìcristo viene ricordato la lettura «dell'incontparabi-
le Strauss» e in Ecce homo si cita il giudizio di Bruno Bauer sulle Inattua-
li".
Quello che forse Nietzsche aggiunge a questo realismo e la capacità di
penetrazione psicologica, dalla quale dipende però anche quel lavoro di
critica gnoseologica precedentemente ricordato, e soprattutto il vivere su di
sé questa critica: la trasvalutazione non è soltanto un prodotto del pensie-
ro, ma l'Erlebnis stessa del filosofo, «un atto {. ..1 che è divenuto in me car-
ne e genia»". In questa prospettiva si può comprendere meglio il significa-
to generale assunto dalle «piccole cose» di cui Nietzsche parla in Ecce ho-
mo, le quali «sono infinitamente più importanti di tutto ciò che fino ad og-
gi si è considerato importante»". Affermare il divenire e la vita. criticare le
strutture Metafisiche o etiche. significa sul piano personale in primo luogo
ritrovare il «filo» del corpo: il che non deve affatto intendersi come un
semplice vitalismo. Perché anche il corpo deve essere interpretato, e del
corpo fa parte integrante anche ciò che è altrimenti inteso come «puro spi-
rito», «sistema nervoso e sensin": Nietzsche non rifiuta affatto la ragione,
tenta soltanto di analizzare la ragione in quanto «istinto» e di non farne un
semplice organo regolatore che non conosca la sua «genealogia» fisica,
materiale. Alla base di questo divenire materiale vi è la volontà di potenza,
che non intende affatto fungere da nuovo principio motore di tutto l'uni-
verso: non a caso Nietzsche parlava di essa come di un «tentativo di una
nuova interpretazione di ogni accadere» «in modo provvisorio e sperimen-
tale»"'. Questo «tentativo» di adeguarsi al «senso dei fatti, l'ultimo e più
prezioso di tutti isensi»" è in fondo più importante anche del suo specifico
contenuto: «i metodi, si deve dirlo dieci volte, sono l'essenziale, anche la
casa più difficilen". Affermare dunque la volontà di potenza non significa
affatto affermare una sorta di lotta per la potenza tra gli uomini, quanto al
contrario un 'umanità che e in grado di conoscere e di interpretare i propri
istinti e di dominarli a tal punto da potersi permettere una affermazione
della vita in tutti i suoi aspetti e lati problematici. L'egoismo di cui parla
Nietzsche non è l'egoismo «povero, affamata, che vuol sempre rubare»",
" Ivi. p. 340.
" EH, p. su.
îî ca. EH, p. sse; L'Anticrista, m., p ras.
' EH, p. 894.
Cfr. L'Anticnsto. m., p. 779.
' ° Cir. Opere di F. Nietmche, voi. va, 3, Milano, 1975, n. 375.
:; <îfr. L'Anticristo. cit., p. su.
la:dem.
" Civ, F. Nietzsche. «Così parlò Zarathustra», in Opere, voi. vi. 1. Milano, l9b8, p. 89v
Page 6
828 ESCE HOM0
quanto quello di un individuo che è perfettamente padrone di sé, da non
volere ad esempio «fuggire» nella compassione verso gli altri: il tipo di un.
mo concepito da Zarathustra «concepisce la realtà come essa è: egli è abbg.
stanza forte per farlo -, non e estraniato, rapito in estasi, è questa realtà
stessa, ne ha ancora in sé tutto il terribile e l'ambiguo, e solo con ciò l'uo.
mo può essere grande...»". Al contrario, «la condizione d'esistenza dei
buoni e la menzogna: detto con altre parole, il non voler vedere a nessun
costo com 'è, in fondo, la realtà, e cioè non atta a far nascere ad ogni islam
te sentimenti di benevolenza, e, meno ancora atta, a tollerare ad ogni istan-
le su di sé l'intervento di mani miopi e benevole»".
Questa specie superiore di umanità, che è in grado di trasformare i valo-
ri. e anche il frutto di un processo che avviene storicamente: criticare la
morale, o la religione, non significa certo non comprendere quale ruolo in
passato esse abbiano potuto svolgere nel «superamento» dell'uomo, E
I'immoralisrno di Zarathustra w questo è una dei punti essenziali di Ecce
homo, uno dei risultati a cui Nietzsche è giunto con particolare lavoro -
presuppone infatti tutta la storia della morale e l'ansia di veracità in esso
contenuto: Zarathustra, creatore della morale, deve essere anche il primo a
riconoscerne [a fine, rappresenta «l'autosuperamento, per veracità, della
morale, l'autosuperamento del moralista » me stesso nel suo contrario -
in me»". L immagine che Nietzsche presenta di se stesso può far compren-
dere cosa significhi questo superamento: «La libertà dal ressentimem, la
chiara visione del ressentirnent»'7 è in fondo il tratto che più caratterizza
questa immagine. La malattia, il rapporto con il padre, le esperienze più
profonde della psicologia nietzscheana conducono tutte a evidenziare que
sto superamento della «ritorsione», dell'istinto di vendetta: ciò significa il
raggiungimento di una vita che non sia semplice risposta ad uno stimolo,
che non sia formata da un meccanismo di reazione, di «retribuzione», co-
me il desiderio, il volere o l'aspirare a qualcosa. Superare questo meccuni
smo di reazione significa più in generale soprattutto superare la «colpa» e
quindi la «punibilità»: «prendere su di sé la colpa, non la pena, questo solo
sarebbe veramente divino»". E dunque superare una visione della vita co-
me «colpa» che deve essere espiata e raggiungere invece una affermazione
della vita nella pienezza del suo divenire, e quindi anche delle sue pene, del
le sue crisi, dei suoi dolori: la contrapposizione finale tra i due «tipi» di
Dioniso e il Croce/isso non è altro che la condensazione simbolica della
contrapposizione tra queste due visioni della vita. La conseguenza psicolo-
gica principale di una vita che si sa inserita nell'eterno ritorno è proprio in
fondo in questo superamento dell'idea della fine, e del dolore e dell'ansia
che ad essa si f ' è questo I" p, ' ', ' che Nietz-
sche trae da quell'essere tra la vita e la morte che è stata la malattia 0 Me
sperienza della morte paterna. In Ecce homo l'idea della morte è molto più
lontana, superato, di quanto non lo fosse in Zarathustra, e forse il tono
ironico, parodistieo, la capacità di giocare con la propria vita si riconnettc
anche a ciò. Il gioco è conseguenza di questo essere al di là della vita. di
questo includere nelle combinazioni del divenire anche la fine: per questo È
la massima affermazione Essere al di la della vita, avere la conoscenza, la
" EH, p, 897.
" Ivi, p: 395.
'° Ibidcm.
"_ Ivi, p. 343.
" Ibidern.
|fiRODUZIONE DI ALDO vemuuer.u , 829
«saggezza» della vita", significa anche superare se stesso: la spersopalizza-
liane, il ' dei propri ' è [Il 4 .
per sciogliersi nelle cause del divenire, la «fiamma», la nuova. passtone,
può nascere solo dal disciogliersi del «ghiaccio». È questa la via per rag:
giungere quella piena identificazione nella realtà che Nietzsche ascrive al ti-
po superiore di umanità da Zarathustra concepito: da_una parte ci si cono-
sce in quanto parte del divenire, dall'altra si è se stessi divenire, si ha la ca-
paCilà di vivere in divenire, Il «genio del cuore», la «grande salute», una
salute «tale da non essere solo posseduta, ma conquistata, e tale da dover
essere conquistata incessantemente, poiché la si sacrifica e la si deve sacri-
ficure sempre di nuovo»'°, esprimono questa concezione di vita che trova
la sua piena realizzazione nell'aanima» di Zarathustra, «che ma amo se
stessa, nella quale tutte le cose hanno le loro correnti e controcorrentt,
fl usso e riflusso»". À _ I >
Questa immagine di vita vuole anche testimoniare ll superamento della
décadence: «Indipendentemente dal fatto che sono un décadertt, sono un»
che il suo contrario»". In uno stupendo aforisma su Dove va collocato
Wagnét, Nietzsche, collocandolo accanto a Baudelaire, al romantictsrno
decadente francese, parlava di questi «primi artisti europei di formazione
letteraria mondiale ., tutti qaan ti fanatici del! 'espressione, grandi scoprito-
ri nel regno del sublime, e anche in quello del brutto e dell'orrido, scoprito»
ri ancor più grandi nell'effetto, nella messa in scena, nell'arte delle vetrine,
talenti tutti quanti ben al di là del loro genio -, virtuosi in tutto e per tut-
to, con misteriosi approdi a tutto ciò che seduce, attira, costringe, sconvol-
ge, costituzionalmente ostili alla logica e alla linea retta,'brarnost dell mu-
Slltll0, dell'esotico, del colossale, di tutti gli oppiacei dei sensr e dell'intel«
IEÎlO))". Se si dovesse collocare Nietzsche nella storia dell'àme moderne,
non si potrebbe che collocarlo dentro e nello stesso tempo dopo di ciò:
Nietzsche e dentro questa scoperta dell'orrido e del problematico, della se-
duzione e del mistero, ma priva questa scoperta del suo «scandalo». Il pro-
blematico e conosciuto, i vecchi valori, dai quali soltanto poteva nascere lo
«scandalo», sono definitivamente distrutti, una nu0va «linea retta», una
nuova logica viene reintrodotto nel mondo della seduzione e dell'attrazio-
ne; essa priva l'oppiaceo del suo effetto, è capace di parodiare la propria
stessa «messa in scena», testimonia la via che dal «kolossal» bayreuthtano
conduce alla solitudine di Zarathustra. In questo senso Nietzsche e deca-
dent e nello stesso tempo l'opposto di un décadent: e forse la sua moderni-
tà, il fascino di] ' " wvr ' L " del ' ' i ' ' è proprio
qm' r . .
Come è qui la modernità non meno difficilmente comprenstbtle del 9051
parlò Zarathustra: lo Zarathustra è al centro di tutto Ecce homo, Il rttmo
stesso di quest'ultima opera nietzscheana non vuole altro che preparare l'e-
vento Zarathustra, il suo contenuto non si presenta altro che come corn«
mento, interpretazione di quello che tra gli scritti di Nietzsche «sia a se»,
alla cui «autorità» ein continuamente si richiama, che con maggiore fre-
quenza ein cita. In un certo senso Ecce homo dimostra la consapevolezza
'° Per il rapporto saggezza-vita (e morte), cix. «Così parlò Zarathustra», in questo val.
(Pan: terza, «il secondo come di danza»)_
'" EH, p. 379; cfr. anche p. 863.
" la, p. su
" Ivi, p. eco, 4
n Cir. F_ Nìctmhe, «Nietzsche contra Wagner», in Opere, vol. VI, 3, p 402; Nietzsche rL
Mm gli aforismi 254 e 256 di Al di II.) del bene e del male.
Page 7
830 ECCE HOM0
che Nietzsche ha raggiunto di quello che in Zarathustra era divinazione,
ispirazione: non è un caso, ad esempio, che Nietzsche reintroduca solo ora
il concetto dionlsiaco per definire ciò che in quell'opera era divenuto
«azione suprema", mentre nella Zarathustra Dioniso non viene mai espli-
citamente menzionato, ma solo accennato. Questo recupero di Dioniso
non è in fondo che un altro aspetto di quel divenire ciò che si è narrato in
Ecce homo; perché si tratta di comprendere quale cammino Nietzsche ri_
percorro per ritornare al suo dio giovanile, quale interpretazione egli dia
delle svolte compiute in questo tortuoso itinerario, quale «selezione» ein
compia nelle sue opere, in che modo egli chiuda i conti con esse. In esse in-
fatti parla una molteplicità di toni che potrebbe sembrare contrastante, e
Nietzsche ne è consapevole: «Al diavolo, signori critici! Posto che avessi
battezzato il mio Zarathustra con un nome diverso, per esempio con quello
di Richard Wagner, la sagacia di due millenni non sarebbe stata sufficiente
per indovinare che l'autore di Umano, troppo umano è il visionario di Za-
rathustra. ..»". L'interesse principale che presenta questa ennesima riletta
ra che Nietzsche fa di se stesso - ad appena due anni di distanza dalle in-
troduzioni scritte per la nuova edizione delle sue opere v èproprio nel mo-
do in cui egli riduce a unità tale molteplicità. I quasi vent'anni della sua at-
tività letteraria si dividono pressoché simmetricamente in due parti, distin-
te dalla profonda cesura del l878"79: quello che forse più colpisce in Ecce
homo, e che emerge anche da alcune ' , ' ' i ,
nee. è la presenza ancora cosi viva di quella svolta, che ritorna più volte nel
testo. La malattia, la rottura con Wagner, l'abbandono della professione e
della cattedra hasileese, sono il momento che in un certo senso segna la
«nascita» di Nietzsche, quello in cui il suo istinto lo riporta verso se stesso:
è allora che si compie la liberazione del suo spirito, la sua conversione dagli
«ideali» alla realtà. Gli stessi gusti letterari, la predilezione per la cultura
francese e la critica allo spirito tedesco, le stesse scelte di studio - «da al_
[ora in poi non mi sono occupato d'altro che di f' ' ' ' " ' e
scienze naturali -, anche agli studi propriamente storici sono ritornato so-
lo quando il compito mi obbligo imperiosamente afarlo»'° _ risentono di
quella svolta. è da essa che nasce lo Zarathustra, dalla liberazione dello
spirito compiuto con Umano, troppo umano: la storia che porta alla Zara-
thustra, cosi come viene delineata in Ecce homo, è la storia di un lento ri-
sorgere dell'«aurora» dal «congelamento» dei precedenti ideali, di un pro-
gressivo farsi gato di quella scienza particolare - la «chimica delle idee e
dei sentimenti» - che nello Zarathustra tornerà ad essere «arte», afferma-
zione. 7" ' un 1' " ' «il! ' ' da una « ' ' io», profeti
co, non ha dunque alcun senso: niente della dedica, di Umano, troppa
umano a Voltaire, della ricerca del Frcigeist viene rifiutato, la visione dio-
nisiaca della Zarathustra deve essere «confermata e sostenuta nel modo
più rigoroso e sostenuta dalla verità e dalla scienza»"; e in Ecce homo
Nietzsche ricorda che la Gaia scienza si inserisce nel periodo di gestazione
di Così parlò Zarathustra, cosa d'altronde pienamente confermata dai
frammenti postumi del periodo relativo".
Il tornare con gratitudine a ripensare ai «giorni di Trlbschen, i giorni
" EH, p. 831
" Ivi, p. 852.
"' Ivi. p. 872.
" Ivi, p, 565.
" Ciro «Frammenti postumi 1881-1882», in Opere, vol. V, 2, cix.
INTRODUZIONE DI ALDO VENTURELLI 831
della fiducia, della gaiaza, dei casi sublimi»", dell'unico rapporto umano
che Nietzsche salva in Ecce homo, può avvenire soltanto sulla base di un
profondo «congelamento» degli ideali wagneriani di un tempo: una grati-
tudine che è faticosamente conquistata durante il lavoro di autoanalisi
compiuto in Ecce homo. Nietzsche può tornare agli ideali della Nascita
della Tragedia e del suo periodo wagneriano nella misura in cui essi non so.
no più ideali, nella misura in cui essi vengono motivati senza ricorrere ad
alcun principio wagnetiano o schopenhaueriano, Per rileggere la Nascita
della tragedia, bisogna dimenticare la «wagnereria»; i modelli delineati
nelle Inattuali su Schopenhauer e Wagner sono soltanto dei «segni» nei
quali è iscritta la storia più intima, la speranza più alta del giovane Nietz-
sche". Su questa base, il dionisiaco, nella interpretazione che ne da l'ulti_
mo Nietzsche, è piuttosto diverso da quello schopenhauerianamente teoriz«
zato nella sua prima opera come ebbrezza derivante dalla rottura del prin-
cipìurn individuationis: il recupero di Dioniso passa infatti attraverso la
svolta antiidealistica del 1878-79 e l'esperienza psicologica del 1882, appe-
na ricordata a proposito deil'lnrro alla vita composto sul testo di Lou van
Salomé", e si converte nel pathos dell'affermazione dell'eterno divenire
della vita anche nel suo dolore e nelle sue crisi. A salvarsi dunque sono le
ultimissime pagine della Nascita della Tragedia, dove la dissonanza del Tri-
stano svelava questo «gioco di costruzione e distribuzione del mondo indi-
viduale come l'afflusso di una gioia primordiale»"; ancora in Ecce homo è
' " una ' ' "' all'Erlcbnis del Tristano", mentre del! '41-
tacco a Wagner resta ' la critica ' ' alla sua ' iullc in
tedesco, alla sua conversione al Reich.
Il capitolo che Nietzsche dedica al Caso Wagner diviene infatti l'occasio-
ne di «dire ai tedeschi un paio di dure verita'»"; ma adesso si arriva alla
conclusione della vicenda dell'opera nietzscheana. Dopo lo Zarathustra
tutto è in un certo senso solo interpretazione, chiarificazione di qualcosa
che in quell'opera era già intuito, fino al punto in cui il pensiero non è solo
' del [IV " ' ma deve divenire «decisione»". In questa
prospettiva di «grande politica» rientra l'attacco ai Tedeschi, come quella
finale al cristianesimo. Cogliere il tono ironico presente anche in queste ul-
time posizioni può oggi risultare molto difficile, non essendo tra l'altro più
percepibili i riferimenti polemici del testo nietzscheano: se Nietzsche pre-
senta se stesso come «dinamite», implicitamente ironizza sul modo in cui
era stato recensito sul Band"; se parla di «grande politica», capovolge la
definizione che la politica bismarckiana dava di sé, vuol dimostrare chela
«pace armata» instaurata in Europa da! Reich è «piccola politica»". In-
viando a [con Bourdeau il testo del «promemoria» per le Corti europee al-
lo scopo di creare una «lega antitedesca», testo purtroppo andato perduto,
Nietzsche si dichiarava convinto della possibilità di «rimettere in sesto tut-
tu l'assurda situazione dell'Europa con una specie di risata di dimensioni
storico-universali, senza che una sola goccia di sangue sia versata. In altri
" EH, p. so.
"' Cosi Nietzsche ne parla in EH. 9. sto.
" casa, p.818.
" F. Nietzsche. «La mm con tragedia», in Opere, voi. m, 1. mm» 1912. p. 160.
" Per la pagina sul «Tristano». cir. EH. PD- 852,
" Niauche ricorda tali recensioni anche in EH, ctrt pp. 858.
" on. EH, p. 89|.
Page 8
832 ECCE HOM0
termini: un giornale è sufficiente. .. n": tutto ciò che si connette alla «gran
de politica» non dovrebbe dunque essere presa alla lettera, ma considerato
nella prospettiva di questa mediazione ironica, di questa intonazione «fa
gliettonistica» che tutti i suoi ultimi scritti hanno. Ed è scarsamente proba_
bile che Nietzsche si facesse illusioni sulla possibilità di influire effettiva.
mente sulla realtà politica del suo tempo, qualora si consideri la doppia di
mansione «per tutti e per nessuno» presente anche in Ecce homo o la stessa
consapevolezza di essere destinata a una vita «pasturna»"; piuttosto l'ulti-
mo Nietzsche cerca di giungere alla società o alla politica attraverso quei
mezzi di comunicazione, quali il giornale, che vengono generalmente gesti_
ti dal lavoro intellettuale".
Voler trarre da Nietzsche una teoria politica sarebbe arbitrario e poco
fruttuoso: forse più significativo e leggere queste ultime posizioni su quel
piano di critica al «complesso della cultura» che egli aveva consapevolmen
le scelto. Sotto questo aspetto, l'attacco al cristianesimo e la grande politi-
ca , r ' s.. i '. Nel u ' ' ' " non critica
soltanto la religione, quanto ogni struttura di pensiero, ogni modo di com-
portamento che sia fuggito dalla realtà, che l'abbia svalutare: basta rileg-
gere l'ultima pagina di Ecce homo per comprendere come nell'attacco al
cristianesimo egli concentri tutto il lavoro di critica gnoseologica alle strut-
ture del pensiero e al procedimento di valutazione etica condotto nei fram-
menti degli ultimi anni. Da questa critica deriva soprattutto la riafferma-
zione del divenire: il pensiero si deve a esso adeguare, non deve mistificare
la realtà, creare categorie ad essa contrapposte. Il pensiero anzi deve diven-
tare una molla stessa di questo divenire, di questa sviluppo, non il custode
di eterne verità ma uno strumento di interpretazione della vita, della realtà:
in questa terra, in questa realtà, e non in un mondo vero inventato «per lo
gliere valore all'unico mondo esistente»", deve essere ritrovato la ragione,
devono essere rinvenute nuove finalità, nuovi valori, superando quell'incu-
ria secolare per tutte quelle «piccole cose» che Nietzsche rivaluta. Tra le
quali egli non annovera soltanto i «problemi del nutrimento, dell'abitazio-
ne, della dieta spirituale, della cura delle malattie. della pulizia, del tempo
atmosferico», ma anche «tutti i problemi politici, dell'organizzazione so_
ciale, dell'educazione»: il pensiero dunque viene integrato, in tutti isuoi
aspetti, non solo come conoscenza ma anche come indicazione di camper
tamento, all'interno del complesso del divenire". È questa la svolta, il de-
stino che Nietzsche pensa di aver compiuto nella storia della conoscenza,
in modo particolare svelando nella sua genealogia quella che era stata la
«Circe» di tutti i filosofi, la morale.
La «grande politica» nietzscheana è la conseguenza, e nello stesso tempo
presuppone questa svolta: 1 'umanitd deve prendere su di sé il compito del
suo sviluppo, deve rendere possibile la creazione di un «sovrappiù di vita».
dal quale soltanto può derivare l'affermazioneI dianisiaca del divenire, de-
"' La lettera a Bourdeau è riportata in Opere, val. Vi, 3, cil., o, mi
"' Un libro «per tutti e per nessuno» era la Zarathustra, ma anche Ecce homo non si prc»
sema in modo diverso, cfr. ad esempio EH, p. 835, p. 838: da una parte Nietzsche vuole =SS&
re ascoltato, dall'altra racconta solo per sé la sua vita. Per quanto riguarda la consapevolezza
di non vivere. di vivere una esistenza postuma, cfrr ad esempio 1). 835.
l" Si potrebbe tentare di applicare anche a questo uso nictzscheano del giornale quelle catc_-
gorie di mi!icastralcgia che Paolo Chiarini ha applicato a Hcìnc: cir, l'introduzione a Rendi-
conto parigino. Bari. l970. Per quanto riguarda Heine, cfr. il paragrafo che Nietzsche gli da
dica in EH, pp. ESI-l
" EH. p, 898,
" Ivi, p 893, p, 856,
iNTRODUZIONE DI ALDO VENIURELLI 833
ve a tal fine uscire «dal dominio del caso e dei preti» e porre «globalmente
per la prima volta la questione del "perché", del '"a che scopo?"»", supe-
randa la fiducia in un progresso automatico che ricorda ancora la provvi»
denza divina e avendo la forza di trattare anche le crisi come momenti di
crescita e non solo come «qualche cosa bisogna eliminare»? È in questa
prospettiva di sviluppo, e non certo in quella di una teoria della razza, che
Nietuche usa termini correnti nella cultura del suo tempo come allevamen-
to, ' ' ecc.: nei f. ', ' r ' ciò emerge mol-
lo più chiaramente che non in Ecce homo o nelle altre opere di questo pe-
riodo. Ed è in essa che bisogna collocare anche l'attacco ai Tedeschi, nei
quali Nietzsche attacco per prima cosa I 'idealisrno, la mistificazione ideo«
logica, come strumento di consenso e di potere del nuovo Reich. Lo stesso
sforzo di detedeschizzate Wagner, la polemica esplicita con Treitschlce,
con Guglielmo II, con il Deutschland iibcr alles, tutto va in questa direzio_
ne di critica dell'ideologia tedesca, di critica dunque al coagqu di naziona-
lismo, antisemitismo, irrazionalismo che costituiva i germi di quella che sa-
rebbe diventata l'ideologia del terzo Reich: sottovalutare la portata «ma
dernizzutrice» di questa polemica nietzscheana, anche alla luce dell'espe-
rienza storica successivo, non è possibile". l. 'aspetto di critica dell'ideolo-
gia emerge anche da ciò che in Ecce homo è detto a proposito del «ritardo»
tedesco, rispetto al Rinascimento e rispetto a Napoleone, per comprendere
il quale si dovrebbe tener presente tutto lo schema di «storia universale»
presente in Nietzsche: il Rinascimento è stata la premessa di quella «svol'
m» verso l'aflermazione della vita già prima ricordata, Napoleone non è
tanto il dittatore, t 'uotno forte, quanto l'unificatore d'Europa, rispetto al
quale le guerre di liberazione nazionali hanno costituito un passo indietro,
diffondendo una névrose natioriale che ha privato l'Europa del suo senso".
l'v'ell'evocazioneflnale di Dioniso. che chiude Ecce homo, non si dovreb-
be dunque vedere l'evocazione di un qualche culto sotterraneo e misteritr
so, contro i quali Nietzsche polemizzava aspramente nell'Anticristo: riap'
prendere in Dioniso il maestro della «grande ragione»", di una ragione
problematica, che si conosce nella sua parzialità e nei suoi limiti, ma perciò
stesso nelle sue possibilità di sviluppo; questo aspetto generalmente cosi
poco considerato del pensiero nietzscheano è quello che forse oggi ha an-
cora qualcosa da dire, anche per sciogliere quell'«enigma Nietzsche» così
stupendamente presentato in Ecce homo.
ALDO Vemuner.u
" Ivi, p 896 Per il senso di questa svolta nicttschcana, rimandiamo a M: Cacciari. Krisis,
Milano, 1976; «Noi. i soggetti», in Rinascita, 2 luglio l976, pp. 25-6; «Ma io parto dalla tra»
l=dia di Weimar». in Rintu'cita, 5 agosto 1977, pp. 25-6.
7' Anche se in altro contesta. Thomas Mann si soiicrmflva sulla portata mod:mizzalrice di
Îfi=tzsche nell'ambito della «miseria tedesca» nelle Considerazioni di un impalttico. Bari.
967v p, 70.
" Cir. EH, p, 891. il rapporto di Nictzsdi: con Napoleone passa attraverso Stendhal e
Goethe: lo stesso pensiero politico di Nietzsche si ricollega a quello che egli chiamo il «reali-
smo» di Goethe; su Goethe Nietzsche riflette più volte in questo ultimo periodo della sua ani-
;i1à, = come frutto finale di questa riflessione si possono considerare le pagine del Crepuscolo
e li idoli
Grande ragione è termine usato da Nietzsche; cfr. EH. p. 844r Per la polemica con Paolo
quale catalizzatore dei culti sotterranei che scrpeggiavano nell'impero romano, cfr. L Armen-
sto, cìt., p. 812.
Page 9
Prologo
1.
In previsione del fatto che fra breve dovrò affrontare l'umanità con le
sigenza più grave che le sia mai stata posta, mi sembra necessario dire chi
sono. In fondo è possibile che lo si sappia già: poiché non ho mai mancato
di «dare testimonianza di me». Ma la discrepanza tra la grandezza del mio
compito e la piccolezza dei miei contemporanei si manifesta nel l'atto che
non mi hanno udito o anche soltanto visto. Vivo a mio proprio credito,
forse è solo un pregiudizio, che io viva?... Mi basta solo parlare con un
qualche «dotto» che venga d'estate in Alta Engadina per convincermi che
non vivo. i. in queste circostanze c'è un dovere contro il quale, in fondo, la
mia abitudine e ancor più l'orgoglio dei miei istinti si rivolta, dire cioè:
Ascaltatemi! poiché la sono questo e quest'alfro. E soprattutto non con-
fondeiemi con altri!
2.
Ad esempio, io non sono affatto uno spauracchio, un mostro morale, -
io sono addirittura una natura opposta a quella specie d'uomo che fino ad
oggi è stata venerata come virtuosa. Detto fra noi, mi sembra che proprio
ciò inerisca al mio orgoglio. Sono un discepolo del filosofo Dioniso, prefe-
rirei piuttosto essere un satiro che un santo. Ma si lega dunque questo
scritto, Forse ce l'ha fatta, forse questo scritto non aveva altro scopo che
esprimere questo confronto in modo sereno e filantropico. L'ultima cosa
che io prometterei, sarebbe «correggere» l'umanità. Non erigerò nuovi
idoli; i vecchi possono cominciare ad imparare cosa comporta avere i piedi
d'argilla.-Rovesciure gli idoli (il mio temine per «idealin) - è questo,
piuttosto, che attiene al mio mestiere. La realtà è stata spogliata del suo va-
lore, del suo senso. della sua veracità, nella misura in cui si è inventato un
mondo ideale. il «mondo reale» e il «mondo apparente» - vedi: il mondo
inventato e la realtà... La menzogna dell'ideale è stata fino ad ora la male-
dizione scagliata contro la realtà, l'umanità stessa è diventata, per suo
mezzo, mendace e falsa, giù nei suoi istinti più sotterranei - fino al culto
dei valori inversi rispetto a quelli per mezzo dei quali le sarebbe stata ga-
rantita la crescita, il futuro, il solenne diritto all'avvenire.
3.
Chi sa respirare l'aria dei miei scritti, sa che è un'aria delle altitudini,
Hfl'ariaforte. Bisogna essere fatti per quell'aria, altrimenti non è piccolo il
fischio di raffreddarvisi Il ghiaccio è vicino, la solitudine immensa - ma
come giacciono tranquille nella luce tutte le cose! come si respira libera
Page 10
836 accrz nono
sa e vissuta fino ad oggi, è la vita volontaria tra i ghiacci e le cime - la ri.
cerca di tutto ciò che di estraneo e di problematico vi è nell'esistenza, di
tutto ciò che finora era posto al bando dalla morale. Dalla lunga esperien-
za che mi ha dato tale peregrinazione nel proibito, ho imparato a Conside-
rare le cause, in modo molto diverso da quanto puù essere auspicabile, in
base alle quali fino ad oggi si è moralizzato e idealizzato: è venuta alla lu_
ce, per me. la storia segreta dei filosofi, la psicologia dei loro grandi nomi.
*- Quanta verità sopporta, quanta verità osa uno spirito? Questo è diven-
tato per me. sempre più, il vero criterio di valutazione. Errore (- la fede
nell'idcale »-) non è cecità, errore è vigliaccheria... Ogni acquisizione, ogni
passo avanti nella conoscenza consegue dal coraggio, dalla dureua verso
se stessi. dalla pulizia verso se stessi... lo non confuto gli ideali, mi infilo
semplicemente i guanti di fronte a loro... Nitimur in velilum: in questo re<
gno vincerà un giorno la mia filosofia, poiché finora è stata impedita, per
principio, sempre e soltanto la verità.
4.
Tra i miei scritti il mio Zarathustra è parte a sé. Con esso ho fatto all'u.
manità il dono più grande che finora le sia stato fatto. Questo libro, la cui
voce porta oltre i millenni, non è solo il libro più alto che esista, il vero li<
bro delle altitudini - l'intero fenomeno uomo si trova a grande distanza
sotto di esso - è anche il più profondo che sia mai nato dalla ricchezza più
segreta della verità, una sorgente inesauribile nella quale nessun secchio
può scendere senza risalire colmo d'oro e di bontà. Qui non parla un «pro-
feta», uno di quegli orribili ibridi di malattia e di volontà di potenza, che
son chiamati «fondatori di religioni». Bisogna, prima di tutto, saper ascol-
tare l'accento che esce da questa bocca, questo accento alcionio, per non
far miseramente torto al senso della sua saggezza. «Sono le parole più
tranquille quelle che portano la tempesta, pensieri che avanzano con passi
di colomba guidano il mondo -.»
l fichi cadono dagli alberi, sono buoni e dolci: e mentre cadono si
rompe loro la rossa buccia. lo sono un vento del nord per i fichi ma-
turi.
Cosi, simili a fichi. cadono innanzi a voi questi insegnamenti.
amici miei; ora bevete il solo succo, la loro dolce polpa! è autunno.
tutt'intorno, e cielo puro e meriggio! -
Qui non parla un fanatico, qui non si «predica», qui non si pretende la
fede: da un'infinita pienezza di luce e profondità di gioia cade, goccia a
goccia, parola su parola - una tenera lenteua è il ritmo di questi discorsi.
Tali cose toccano solo ai più eletti; è un privilegio senza pari essere uditori;
non è per tutti avere orecchie per Zarathustra... Con tutto dò Zarathustra
non sarà un seduttore? Ma cosa dice dunque egli stesso, quando perla pri-
ma volta ritorna nella sua solitudine? Proprio il contrario di ciò che direb-
be in tal caso un qualche «saggio», «santo», «salvatore del mondo», 0 un
qualche altro décadent... Non solo agli parla in modo diverso, egli è anchs'
diverso . . .
Solo dunque me ne vado, o miei discepoli! Voi pure, andatevenc
ora e soli! Così io voglio.
PRODOGO 837
Audatevene da me e guardatevi da Zarathustra! E meglio ancora:
vergognatevi di lui! Forse vi ha ingannato.
L'uomo della conoscenza non deve solo saper amare i suoi nemici,
deve anche saper odiare i suoi amici.
Si ripaga male il maestro, se si rimane sempre scolari. E perché
non volete strappare le foglie della mia corona?
Voi mi venerate: ma se la vostra venerazione un giorno cadesse?
Guardatevi, che non vi schiacci una statua!
Voi dite di credere a Zarathustra? Ma che importa Zarathustra?
Voi siete i miei fedeli, ma che importano tutti i fedeli!
Non vi eravate ancora cercati: e trovaste me. Cosi fanno tutti i fe'
deli, perciò ogni fede è di cosi poco conto.
Ora. vi ordino di perdermi e di trovarvi; e solo quando voi tutti mi
avrete rinnegato, tornerò in mezzo a voi...
FRlEDRICH NIETZSCHE
Page 11
in questo giorno di perfezione in cui ogni cosa giunge a maturazione e il
grappolo non è il solo a diventar scuro, un raggio di sole è appena caduto
sulla mia vita: ho guardato dietro di me, ho guardato lontano davanti a
me, non vidi mai tante cose così buone in una volta sola. Non ho sepolto
invano, oggi, il mio quarantaquattresìmo anno, mi è stato possibile seppel-
lirlo, -« ciò che in esso era vita è salvo, è immortale. I! rovesciamento di
tutti i valori, i Dirirambi di Dioniso e, per mia ricreazione, il Crepuscolo
degli idoli - Tutti doni di questo anno, addirittura del suo ultimo trime»
stre! Come potrei non essere grato all'intera mia vita? E cosi mi racconta
la mia vita.
Perché sono cosi saggio
l.
La felicità della mia esistenza, la sua unicità forse, sta nella sua fatalità:
per parlare per enigmi, in quanto mio padre sono già morto, in quanto mia
madre vivo ancora e invecchio. Questa doppia origine, per cosi dire dal più
alto come dal più basso germoglio sulla scala della vita, decadente insieme
cominciamento - se c'è qualcosa che spieghi quella neutralità, quella li-
bertà da ogni fazione di fronte al problema della vita nel suo complesso,
che forse mi contraddistingue, è proprio questo. lo ho, per i segni dell'a-
scesa e del declino, più fiuto di quanto un uomo abbia mai avuto, io sono,
in questo, il maestro par excellence, - conosco l'una e l'altro, sono l'una e
l'altro. - Mio padre morì a trentasei anni: era tenero, amabile e morboso,
come un essere destinato solo a passare oltre - piuttosto un ricordo bene-
volo della vita, che la vita stessa. Nello stesso anno in cui la sua vita decli-
nò, declian anche la mia: nel trentaseiesimo anno la mia vitalità toccò il
punto più basso, - vivevo ancora, tuttavia senza vedere a tre passi davanti
a me. Allora - era il 1879 - lasciai la cattedra di Basilea, passai l'estate a
St. Moritz, come un'ombra, e l'inverno seguente, il più privo di sole della
mia vita, a Naumburg, era un'ombra Fu il mio minimum: «Il viandante e
la sua ombra», nacque in quel periodo. Senza alcun dubbio allora mi in»
tendeva di ombre... L'inverno seguente, il mio primo inverno genovese,
quell'addolcimento e quella spiritualizzazione che un estremo impoveri-
mento del sangue e dei muscoli comporta quasi inevitabilmente, portò alla
nascita di Aurora. La Iimpideua perfetta e la serenità, l'esuberanza quasi
dello spirito, che quest'opera riflette, si accordano in me non solo con la
più profonda debolezza fisiologica, ma addirittura con un eccesso di sensa-
zioni dolorose. Nel martirio che mi causava un'ininterrotta emicrania di
tre giorni consecutivi, accompagnata da un penoso vomito di muco, -
possedevo una chiarezza dialettica par excellence ed esaminavo con grande
sangue freddo cose per le quali, in migliori condizioni di salute, non sono
uno scalatore sufficientemente ardito. sufficientemente raffinato, suffi-
cientemente freddo. i miei lettori sanno forse fino a qual punto io conside-
ri la dialettica come un sintomo di décadence. per esempio nel caso più fa-
moso: quello di Socrate. - Tutti i turbamenti morbosi dell'intelletto, an-
che quel mezzo stordimento che segue alla febbre, mi sono rimasti fino ad
oggi completamente estranei: ho dovuto informarmi sui libri della loro na»
tura e della loro frequenza. Il mio sangue scorre lentamente. Nessuno ha
mai potuto accertare la febbre su di me. Un medico, che mi curò a lungo
come malato di nervi. disse alla fine: «no! i suoi nervi non hanno niente,
sono io che sono nervoso». In definitiva nessuna degenerazione locale ac-
certabile; nessun mal di stomaco di natura organica, per quanto sappia,
come conseguenza di un esaurimento generale, di una fortissima debolezza
del sistema gastrico. Anche il dolore agli occhi, che si avvicina a volte, pe-
Page 12
340 ECCE nono
ricolosamente. alla cecità, è solo una conseguenza, non una causa: di mo-
do che ogni accrescimento della forza vitale ha accresciuto la forza v' va.
Guarigione vuol dire, per me, una lunga, troppo lunga serie di anni, - si-
gnifica purtroppo anche ricaduta. declino, periodicità di ogni genere di dé.
cadente. Ho forse bisogno di dire, dopo tutto ciò, che sono esperto in ma-
teria di décadence? La ho sillabata da ogni lato. E anche quell'arw della fi-
ligrana dell'afferrare e comprendere in generale, quel tocco per le nuances,
quell'attitudine psicologica a «vedere dietro l'angolo», e ogni altra cosa
che mi distingue, l'ho imparata allora, è il vero dono di quel tempo nel
quale ogni cosa si affinò in me, l'osservazione come tutti gli organi dell'os-
servazione. Partendo dall'ottica del malato, considerare i concetti e i valori
più sani. poi, al contrario, partendo dalla pienezza e dalla sicurezza di sé
della vita ricca, guardare in basso, nel lavoro segreto dell'istinto di déta»
dence - questo è stato il mio esercizio più lungo, la mia vera e propria
esperienza, se sono stato maestro in qualche cosa lo sono stato qui. Ora
l'ho in mano, mi sono fatto la mano a rovesciare le prospettive: ragione
prima per la quale a me solo, forse, è possibile una «trasvalutazione dei va-
lori», --
2.
Indipendentemente dal fatto che sono un décadent, sono anche il suo
contrario. Prova ne è, tra l'altro, che contro le condizioni spiacevoli ho
sempre scelto, istintivamente, gli strumenti adatti: mentre il décodent in sé
sceglie sempre gli strumenti che lo danneggiano. Come summa summarum
ero sano; ma nel dettaglio, nella peculiarità ero décadenr. Quell'energia
per conquistare un assoluto isolamento e distacco dalle condizioni abituali,
la violenza con la quale mi sono imposto di non lasciami più curare, servi-
re, coccolare dai medici - tutto questo tradisce l'assoluta sicurezza dell'i_
stinto per quanto riguarda ciò di cui allora. avevo soprattutto bisogno. Mi
presi in mano, mi guarii io stesso: la condizione per questo - ogni fisiolo-
go lo ammetterà -- è che si sia fondamentalmente sani. Un essere tipica-
mente morboso non può guarire, tanto meno guarirsi; per uno tipicamente
sano, al contrario. la malattia può essere addirittura un energico stimolan-
te al vivere, al vivere-di-più. E cosi infatti che mi appare ora quel lungo pe-
riodo di malattia: scoprii, per così dire, di nuovo la vita, me stesso incluso.
gustai tutte le cose buone. anche le piccole cose, come altri non avrebbero
facilmente potuto gustarle, - feci della mia volontà di salute, di vita, la
mia filosofia... Poiché, si faccia attenzione, gli anni della mia minore vita-
lità furono quelli in cui cersai di essere pessimista: l'istinto dell'autoristabi-
lirsi mi proibiva una filosofia della povertà e dello scoraggiamento... E da
cosa, in fondo, si riconosce l'essere benriuscr'lo'! Dal fatto che un uomo
benriuscito fa bene ai nostri sensi: dal fatto ch'è tagliato in un legno dur0.
tenero e profumato al tempo stesso. Gli piace solo ciò che gli si conviene; il
suo piacere, il suo desiderio cessano non appena la misura di ciò che con-
viene viene superata. Ein indovina i rimedi contro le ferite, utilizza a su0
vantaggio le disavventure; ciò che non lo uccide lo rende più forte. Racco-
glie istintivamente, di tutto ciò che vede, ode, vive, la sua somma: è un
principio selettivo, elimina molte cose. È sempre nella sua società, sia che
tratti con libri, uomini o paesaggi: onora in quanto sceglie, in quanto con'
cede. in quanto da fiducia. Reagisce lentamente ad ogni tipo di stimoli;
con quella lentezza alimentata in lui da una lunga prudenza e da una deli-
berata fiereua - esamina la sollecitazione che giunge, è ben lontano dal-
PERCHÉ sono cosi snooro 341
l'andarle incontro. Non crede alla «disgrazia», né alla «colpa»: sa chiudere
con sé, con gli altri, sa dimenticare, « è forte abbastanza perché tutto deb-
ba venire a suo vantaggio. - Ebbene, io sono l'opposto di un décadent:
poiché ho descritto appunto me stesso.
3.
Considero un grande privilegio aver avuto un tale padre: i contadini da'
vanti ai quali predicava - poiché egli era stato pastore, negli ultimi anni,
dopo aver vissuto alcuni anni alla corte di Altenburg " dicevano che un
angelo avrebbe dovuto assomigliargli. - E qui tocco il problema della raz-
za. lo sono un nobiluomo polacco pur sang, in cui non c'è neppure una
goccia di sangue cattivo e tantomeno di sangue tedesco. Se cerco la più
profonda antitesi di me stesso, l'incalcolabile volgarità degli istinti, trovo
sempre mia madre e mia sorella, w credermi imparentato con una tale ca<
naille sarebbe una bestemmia contro la mia divinità. Il trattamento che ri»
cevo, fino a questo momento, da parte di mia madre e di mia sorella m'i-
spira un indicibile orrore: qui è all'opera una perfetta macchina infernale,
con infallibile sicurezza sul momento in cui si può ferire a sangue _ nei
miei momenti più alti... perché allora manca ogni forza per difendersi con-
tro questo velenoso vermicaio La contiguità fisiologica rende possibile
una tale disharmonia praestabrhta... Ma lo confesso che l'obiezione più
profonda contro l'«eterno ritorno», il mio pensiero propriamente abissale.
sono sempre la madre e la sorella. - Ma anche come polacco lo sono un
terribile atavismo. Bisognerebbe risalire i secoli, per trovare questa razza,
la più nobile che mai ci sia stata sulla terra, con la purezza d'istinto con la
quale io la rappresento. lo ho contro tutto ciò che oggi si chiama noblesse.
un sovrano sentimento di distinzione - non accorderei al giovane impera-
tore tedesco l'onore di essere il mio cocchiere. C'è un unico caso nel quale
riconosco un mio uguale - lo confesso con profonda gratitudine. La si-
gnora Cosima Wagner è di gran lunga la natura più nobile; e, per non tace-
re nulla. dirò che Richard Wagner è stato l'uomo di gran lunga più affine a
me... Il resto e silenzio . tutti i concetti dominanti sui gradi di parentela
sono un controsenso fi ologico, che non può essere superato. il papa ha
ancor oggi commercio con questo controsenso. Si è apparentati meno di
tutti con i propri genitori: sarebbe il segno estremo della volgarità essere
apparentati con i propri genitori. L'origine delle nature più elevate risale
infinitamente più indietro. per arrivare ad esse si è dovuto raccogliere, ac-
cumulare, risparmiare per un tempo lunghissimo. I grandi individui sono i
più antichi: non lo capisco, ma Giulio Cesare potrebbe essere mio padre -
oppure Alessandro, questo Dioniso vivente... Nell'attimo in cui scrivo tut-
to questo. la posta mi porta una testa di Dioniso. ..
4.
Non ho mai compreso l'arte di prevenire gli altri contro me stesso -- de-
vo anche ciò al mio incomparabile padre - anche quando questo sarebbe
stato per me di grande importanza. Anzi, per quanto anticristiane possa
Sbmbrare, non sono neppure io prevenuto contro me stesso. Si può rigirarc
la mia vita in ogni senso, non vi si troverà, ad eccezione di un unico casoZ
traccia alcuna del fatto che qualcuno abbia avuto cattive intenzioni nei
miei confronti, - troppe tracce forse. invece, di buone intenzioni... Perfi-
no le mie esperienze con persone con le quali chiunque fa esperienze nega
Page 13
842 ECCE nono
rive, parlano, senza eccezione, a loro favore; io addomestico gli orsi, indu_
co i pagliacci a comportarsi decentemente. Nei sette anni durante i quali ho
insegnato greco nella classe superiore del Pàdagogium di Basilea. non ho
avuto alcuna occasione per infliggere una punizione; i più pigri erano dili-
genti con me. Sono sempre all'altezza del caso; devo essere impreparato
per poter essere padrone di me stesso. Qualunque sia lo strumento, per
quanto scordato, come solo lo strumento «uomo» può esserlo »- dovrei es-
sere malato, per non riuscire a trarne qualcosa di ascoltabile. E quante vol_
te mi è stato detto da questi stessi «strumenti» che non si erano ancora mai
sentiti suonare a quel modo... Nel modo più bello, forse, che quell'l-leim
rich von Stein, morta con imperdonabile precocità, il quale una volta, do-
po averne scrupolosamente richiesto il permesso, apparve per tre giorni a
Sils-Maria, chiarendo a tutti che non era venuto per l'Engadina. Quest'uo-
mo eccellente, che si era tuffato con tutto l'impetuoso candore di uno Jun-
ker prussiano nella palude wagneriana (e oltre a ciò anche nella palude di
Diihringl) fu quasi trasformato, in quei tre giorni, da un impetuoso vento
di libertà, come uno che si trovi improvvisamente sollevato alla sua altezza
e provvisto di ali. Gli dicevo sempre che era effetto della buona aria di las-
sù, che succedeva a tutti, che non per nulla si era a 6000 piedi sopra Bay-
reuth, - ma non mi voleva credere... Se ciò nonostante è stato commesso
verso di me qualche piccolo o grande misfatto, non è stato a causa della
«volontà» e ancor meno della cattiva volontà: dovrei piuttosto lamentarmi
_ ne ho appena accennato - della buona volontà che ha portato non po-
chi turbamenti nella mia vita. Le mie esperienze mi danno il diritto di diffi_
dare, in generale, delle cosiddette tendenze «disinteressate», di tutto «l'a-
more del prossimo» sempre pronto al consiglio e all'azione. Per me, esso è
in sé debolezza, un caso particolare dell'incapacità di resistere agli stimoli
- la compassione e una virtù solo per i décadents. Rimprovero alle anime
compassionevoli il fatto che facilmente vien loro meno il pudore, il rispet-
to, il delicato senso delle distanze, che la compassione prende, in un bale-
no, il sentore della plebe e assomiglia, fino a confondervisi, alle cattive ma-
niere, che le mani . ' oli, in alcune ' ,. avere
un effetto addirittura devastatore in un grande destino, in una solitudine
ferita, nel privilegio di una grave colpa, lo annovero il superamento della
compassione tra le virtù aristocratiche: la «Tentazione di Zarathustra» è la
rappresentazione poetica del caso del grande grido d'aiuto che giunge fino
a lui, quando la compassione, come un estremo peccato, vuole sopraffar-
lo, vuole allontanarlo da se stesso. Padroneggiarsi in questo moment0.
mantenere pura dagli impulsi molto più bassi e miopi, che agiscono nelle
cosiddette azioni disinteressato, l'altezza del proprio compito, questa è la
prova, la prova estrema, forse, che uno Zarathustra deve superare - 12
sua vera prova di forza...
5.
in un altro punto ancora io sono, ancora una volta, mio padre e in certo
Qual modo la sua sopravvivenza dopo una morte anche troppo prematura-
Al pari di colui che non è mai vissuto tra i suoi simili e al quale il concetto
di «ritorsione» e inaccessibile quanto la nozione di «parità di diritti». i0 mi
proibisco, nei casi in cui è stata commessa contro di me una piccola 0 una
enorme pazzia, ogni rappresaglia, ogni misura difensiva, _- e com'è giual0
anche ogni difesa, ogni «giustificazione». Il mio genere di rappresaglie
consiste nel far seguire il più rapidamente possibile una cosa intelligente a
r
PERCHÉ SONO così snooro 843
una sciocchezza: così, forse, la si recupera. Per usare una metafora: spedì-
560 un vaso di confitures per liberarmi di una storia inacidita... Basta che
mi si faccia del male e io saprò contraccarnbiarlo, di questo si può star si-
curi: trovo presto un'occasione per manifestare la mia gratitudine al «mal-
t'attore» (e magari proprio per il suo misfatto) - o per chiedergli qualcosa,
ciò che può essere più vincolante del dare qualcosa... Mi sembra anche che
la parola più grossolana, la lettera più grossolana siano ancor più benevo-
le, più oneste del silenzio. A quelli che tacciono manca quasi sempre finez-
za e gentilezza di cuore; tacere è un'obiezione, sopportare produce necessa-
riamente un brutto carattere, -- rovina addirittura lo stomaco. Tutti i si-
lenziosi sono dispeptici. - Si veda come io non vorrei saper sottovalutata
la grossolanità, essa è di gran lunga la forma più umana della contraddù
zione e, tra le cattive abitudini moderne, una delle nostre prime virtù. - Se
si è abbastanza ricchi per questo, è addirittura una fortuna avere torto. Un
dio che venisse sulla terra non potrebbe fare null'altro che torti, - prende«
re su di sé la colpa, e non la pena, questo solo sarebbe divino.
6.
La libertà del ressentiment, la chiara visione del ressentimen! - chissà,
infine, quanto anche per questo io debba esser grato alla mia malattia! Il
problema non è proprio semplice: bisogna averlo vissuto attraverso la for»
za e attraverso la debolezza. Se, in generale, bisogna affermare un qualche
cosa contro lo stato di malattia, di debolezza, e appunto il fatto che in que-
sto stato il vero istinto di guarigione, che e I 'islt'nlo combattivo e di ensivo
dell'uomo, si infiacchisce. Non ci si sa liberare da nulla, non si sa venire a
capo di nulla, non si sa respingere nulla, -- tutto ferisce. Uomini e cose si
avvicinano con invadenza, le esperienze colpiscono troppo a fondo, il ri-
cordo è una ferita in suppurazione. Il fatto stesso di essere malati e una
sorta di ressentiment. - Contro ciò, il malato ha un unico grande rimedio
- io lo chiamo il fatalìsmo russo, quel fatalismo senza ribellione, per il
quale un soldato russo a cui la guerra diventa troppo dura, si abbandona
infine nella neve. Soprattutto non prendere più niente, non prendere più
niente su di sé, non prendere più niente in sé, '- soprattutto non reagire
più... La grande ragione di questo fatalismo, che non è sempre solo il co-
raggio di morire, come elemento di conservazione della vita nelle circostarr
le più minacciose per la vita stessa, sta in un abbassamento del metabolù
fimo, nel suo rallentamento, in una sorta di volontà di letargo. Un paio di
passi ancora in questa logica e si ha il fachiro, che dorme per settimane in
una tomba... Poiché ci si consumerebbe troppo rapidamente, se d'altra
parte si reagisse, non si reagisce più: questa è la logica. E con nulla si bru-
cia più in fretta che con le passioni del ressentiment. La rabbia, la vulnerav
bilità morbosa, l'incapacità. di vendicarsi, il desiderio, la sete di vendetta,
l'intossicare in ogni senso - questo è certamente, per chi è stremato, il
modo più negativo di reagire: comporta un rapido dispendio di forza ner«
vosa, un morboso aumento di secrezioni nocive, ad esempio della bile nello
stomaco. Il resserm'ment è per il malato la cosa proibita in sé -* il sua ma-
le: purtroppo anche la sua tendenza più naturale. -- Lo comprese quel
Profondo fisiologo che fu Buddha. La sua «religione», che si potrebbe de-
finire meglio come igiene per non mescolarla a cose tanto miserevoli come
il cristianesimo, faceva dipendere la sua efficacia dalla vittoria sul ressenti-
mem: renderne libero l'animo '- primo passo verso la guarigione. «Non
per mezzo dell'inirnicizia si pone termine all'inimicizia, con l'amicizia si
Page 14
844 ecce nono
porrà fine all'inimicizia»: queste parole stanno all'inizio della dottrina di
Buddha - così non parla la morale, cosi parla la fisiologia. - Il ressenzf.
meni, nato dalla debolezza, non e dannoso a nessuno più che al debole
stesso, - nel caso opposto, dove la premessa è una natura ricca, un senti
mento superfluo, un sentimento di cui restare padroni è quasi la prova del_
la ricchezza. Chi conosce la serietà con la quale la mia filosofia ha intra-
preso la lotta contro i sentimenti di vendetta e il risentimento, fino a giun-
gere alla dottrina del «libero arbitrio» - la lotta contro il cristianesimo ne
è solo un particolare -- comprenderà perché io metta qui direttamente in
luce il mio comportamento personale, la sicurezza del mio istinto nella
prassi. Nei momenti di décadence io li proibii a me stesso perché dannosi;
non appena la vita fu di nuovo ricca e orgogliosa a sufficienza per questo,
meli proibii in quanto al di sotto di me. Quel «fatalismo russo» del quale
ho parlato emergeva in me con il fatto che io mantenevo tenacemente per
anni, dopo che si erano dati una volta per caso, situazioni, luoghi, abita-
zioni, compagnie quasi insopportabili, - era meglio che cambiarli, che
sentirli modificabili, »- che rivoltarsi contro di loro... che mi si disturbasse
in questo fatalismo, che mi si svegliasse con violenza, era un fatto per il
quale mi offendevo a morte: - in verità era anche, ogni volta, mortalmen«
te pericoloso. » Prendere se stessi come un fato, non volersi «diversamen-
te» - in tali circostanze questa è la grande ragione stessa.
7.
Altra cosa è la guerra. A modo mio sono guerresco. Attaccare fa parte
dei miei istinti. Poter essere ostile, essere ostile: questo presuppone forse
una natura forte, in ogni caso è presupposto di ogni natura forte. Essa ha
bisogno di ostacoli, di conseguenza essa cerca gli ostacoli: il pathos aggres-
sivo appartiene necessariamente alla forza, tanto quanto il sentimento di
vendetta e il risentimento appartiene alla debolezza. La donna. ad esem-
pio, è vendicativa: questo è proprio della sua debolezza, come la sua sensi-
bilità di fronte alle pene altrui. - La forza dell'attaccante trova una sorta
di criterio di misura nel nemico di cui ha bisogno: ogni crescita si rivela
nella ricerca di un avversario o di un problema più potente: perché un filo»
sofo che sia combattivo sfida a duello anche i problemi. Il compito non è
quello di dominare le resistenze in generale, ma quelle contro le quali si de'
ve impiegare tutta la propria forza, la propria duttilità e abilità nell'uso
delle armi, - avversari di pari valore... Parità con il nemico - condizione
prima per un duello leale. Dove si disprezza non si può far guerra; dove si
comanda, dove si vede qualcosa sotto di sé, non si deve far guerra. - La
mia prassi di guerra può essere compreso in 4 principi. Primo: attacco solo
cose che sono vittoriose, - in alcune circostanze aspetto fino a che siam)
vittoriose. Secondo: attacco solo cose contro le quali non troverei nessun
alleato, contro le quali sono solo, - contro le quali mi compromette io so-
lo Non ho mai fatto pubblicamente un passo che non mi compromettes
se: questo è il mio criterio del giusto agire. Terzo: non attacco mai persone.
- mi servo della persona solo come di una potente lente di ingrandimento.
con la quale si può rendere visibile uno stato di disagio generale, ma stri-
sciante, difficilmente afferrabile. Così ho attaccato David Strauss, o più
esattamente il successo di un libro senilrnente debole nella «cultura» tede-
sca, - ho colto quella cultura sul fatto... Così ho attaccato Wagner, 0 Più
esattamente la falsità, l'istintiva incongruenza della nostra «civiltà.» che
confonde i raffinati con i ricchi, gli ultimi rappresentanti di un periodo 60"
PERCHÉ. sono cosi sacroro 345
i grandi. Quarto: attacco solo cose dalle quali sia esclusa qualsiasi diver-
genza personale, dove manchi ogni retroscena di brutte esperienze. A1 con-
trario, attacczue è, per me, una dimostrazione di benevolenza e, in detcr'
minatc circostanze, di gratitudine. Associando il mio nome a una cosa, a
una persona io le rendo onore, la distinguo: pro o contro - per me è lo
stesso. Quando faccio guerra ed cristianesimo ne ho il diritto, perché non
ho subito, da quella parte, né disgrazie né ostacoli, - i cristiani più seri so-
no sempre stati ben disposti nei miei confronti. lo stesso, avversario de ri-
gueur del cristianesimo, sono ben lontano da volerne ai singoli per ciò che
è una fatalità millenaria.
E.
Posso osare accennare ancora ad un ultimo tratto della mia natura, che
nel mio rapporto con gli uomini mi pone non poche difficoltà? Mi è pro-
pria un'eccitabilità, assolutamente inquietante, dell'istinto di pulizia, di
modo che percepisco fisiologicamente - adoro, la vicinanza o - che di-
co? - l'interiorità più profonda, le «viscere» di ogni anima... Possiedo, in
questa eccitabilità, antenne psicologiche con le quali palpa e afferro ogni
segreto: la molta sozzura nascosta nel fondo di certe nature, determinata
forse da un sangue cattivo, ma Verniciata dall'educazione, mi si palesa già
dal primo contatto. Se ho osservato bene, anche queste nature, intollerabili
per la mia pulizia, avvertono, dal canto loro, la circospezione del mio di-
sgusto: non per questo diventano più profumate... Cosi come sono sempre
stato abituato -- un'estrema onestà nei miei confronti è la condizione per
la mia esistenza, morirei in situazioni contaminate - nuoto, faccio il ba-
gno e sguazzo continuamente, per così dire, nell'acqua. in un qualche ele-
mento perfettamente trasparente e scintillante. Ciò fa si che il mio rappor-
to con gli uomini sia una non piccola prova di pazienza; la mia umanità
non consiste nel partecipare al sentimento dell'uomo qual egli è, ma nel
reggere a tale partecipazione... La mia umanità è un costante superamento
di me stesso. Ma io ho bisogno di solitudine, voglio dire di guarigione, di
ritorno a me, di respirare un'aria libera, lieve, giocosa... Tutto il mio la»
rarhustra è un ditirambo sulla solitudine, o, se sono stato compreso. sulla
purezza... Per fortuna non sulla pura pazzia. - Chi ha occhi per i colori lo
chiamerà adamamino... Il disgusto per l'uomo, per la «canaglia» è stato
sempre il mio maggior pericolo... Vogliamo ascoltare le parole nelle quali
Zarathustra parla dell'affrancamenlo dal disgusto?
Cosa mi accade dunque? Come mi affrancai dal disgusto? Chi rin-
giovani il mio occhio? Come potei volare ad altezze dove nessuna ca-
naglia siede più alla fonte?
Il mio stesso disgusto mi creò ali ed energie presagire di sorgenti?
In verità ho dovuto volare ai vertici delle altezze per ritrovare l'origi-
ne del piacere!
Oh, io l'ho trovata, fratelli! Qui sulla vetta scaturisce per me l'ori-
gine del piacere! E vi è una vita alla quale la canaglia non beve!
Quasi con troppo impeto scorri per me, sorgente del piacere! E
spesso, volendo riempirla, torni a vuotare la coppa.
E devo ancora imparare ad avvicinarmi a te con maggior mode
stia: ancora con troppo impeto ti scorre incontro il mio cuore:
- il mio cuore, sul quale brucia la mia estate, la breve, ardente,
Page 15
846
esca HOMO
malinconica. felicissima: come anela il mio cuore estivo alla tua pre»
senza!
Trascorsa l'indugiante tristezza della mia primavera! Trascorsi i
fiocchi di neve della mia cattiveria di giugno! Non sono più che esta-
te e meriggio estivo. -
- un'estate sulle vette con fredde sorgenti e felice silenzio: oh, ve.
nite, amici, perché il silenzio diventi ancor più felice!
Poiché questa è la nostra altezza e la nostra pat : troppo alto,
troppo ripido è il luogo dove abitiamo per tutti gli impuri e la loro
sete.
Gettate il vostro occhio puro nella sorgente del mio piacere, ami-
ci! Come potrebbe intorbidarsi per questo? Egli vi sorriderà con la
sua purezza.
Sull'albero del futuro noi costruiamo il nostro nido; aquile debbo»
no portare il cibo, nel loro becco, a noi solitari!
In verità, non un cibo al quale possono cibarsi gli impuri! Crede-
rebbero di mangiare fuoco e si brucerebbero le fauci.
in verità, noi non abbiamo qui rifugi per gli impuri! Una caverna
di ghiaccio sarebbe peri loro corpi, e per i loro spiriti, la nostra feli-
Cllfl.
E come venti vigorosi noi vogliamo vivere al di sopra di loro, vici-
ni alle aquile, vicini alla neve, vicini al sole: cosi vivono i venti vige.
rosi.
E, simile a un vento, voglio soffiare un giorno tra loro, e, con il
mio spirito, togliere il respiro al loro spirito: cosi vuole il mio avveni-
re
In verità, Zarathustra è un vento violento per tutte le pianure: e
tale e il suo consrglro ai suoi nemici e a tutto quanto sputa e vomita:
guardatevr dallo sputare contro vento!
Perché sono cosi accorto
- Perché ne so un po' di più? Perché, in generale. sono cosi accorto?
Non ho mai riflettuto su problemi che non fossero tali, - non mi sono mai
sprecato. - Ad esempio, non conosco per esperienza le vere e proprie dif-
ficoltà religiose. Mi e completamente sfuggito in che senso dovrei essere
«peccatore». _ Allo stesso modo mi manca un criterio valido su cosa sia
un rimorso: da ciò che se ne sente dire un rimorso non mi sembra nulla di
notevole... Non vorrei piantare in asso un'azione per quel che ne è stato
dopo, preferirei lasciare completamente fuori da un giudizio di valore l'esi-
to negativo, le conseguenze. in presenza di un esito negativo si perde persi-
no troppo facilmente la giusta visione di ciò che si è fatto: un rimorso mi
sembra una sorta di «malocchio». Tenere tanto più in considerazione qual-
cosa che è fallito, proprio perché è fallito - questo piuttosto appartiene
alla mia morale. - «Dio», «immortalità dell'anima», «redenzione», «al di
là», tutti concetti ai quali, anche da bambino, non ho dedicato nessuna atf
tenzioue, e neppure il mio tempo w forse non sono mai stato abbastanza
infantile per questo? _- Non conosco affatto l'ateismo come risultato. an«
cor meno come avvenimento: esso mi è congeniale per istinto. Sono troppo
curioso, troppo problematico, troppo irriverente, per accontentarmi di
una risposta cosi piattamente grossolana. Dio è una risposta piattamente
grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori -«, in fondo, persino un
grossolano divieto nei nostri confronti: non dovete pensarci... In modo
ben diverso mi sta a cuore un problema dal quale, molto più che da una
qualsiasi curiosità da teologi, dipende la «salvezza dell'umanità»: il pro-
blema dell'alimentazione, Per comodità lo si può formulare così: «come
devi nutrirti esattamente, tu, per ottenere il massimo della forza, della vir-
tù in senso rinascimentale, di virtù scevra d'ipocrita moralità?» - Su que-
sto punto le mie esperienze sono le peggiori possibili; sono stupito di aver
avvertito cosi tardi questa domanda, di aver imparato da queste esperienze
così tardi la «ragione». Solo la completa futilità della nostra cultura tede«
sca - il suo «idealismo» - mi spiega. in una certa misura, perché proprio
a questo riguardo io fossi di un'arretratezza tale da confinare con la santi»
tà. Questa «cultura», che insegna fin dall'inizio a perdere di vista la realtà
per mettersi alla caccia di cosiddette finalità «ideali», assolutamente pr0«
blematiche, per esempio della «cultura classica»: - come se non fosse
condannata all'insuceesso, fin dall'inizio, l'unificazione in un unico con-
cetto di «classico» e «tedesco»! Non solo, tutto da ridere « si pensi, per
esempio, a un cittadino di Lipsia dotato «di cultura classica»! - lnvero,
fino agli anni della mia maturità ho sempre mangiato male. o, per espri-
merci in termini morali, «impersonalmente», «disinteressatamente», «al-
truisticamente», alla salute dei cuochi e degli altri confratelli cristiani. Gra-
zie alla cucina di Lipsia negai, ad esempio, molto seriamente, nel periodo
Page 16
848 ECCE HOM0
dei miei primi studi su Schopenhauer (1865), la mia «volontà di vivere».
Rovinarsi anche lo stomaco ai fini di un'alimentazione insufficiente, - la
suddetta cucina sembrava risolvere questo problema in modo felice e am»
mirevole. (Si dice che nel l866 si sia prodotta una svolta -.) Ma la cucina
tedesca in genere - cosa non ha sulla coscienza! La minestra prima del
pranzo (chiamata alla tedesco già nei libri di cucina veneziani del XVI seco-
lo); le carni troppo cotte, le verdure rese grasse e iarinose; la degenerazione
dei dolci in fermacarte. Se vi si aggiunge inoltre il bisogno addirittura be_
stiale dei «vecchi», ma non soltanto dei vecchi tedeschi, di bere dopo aver
mangiato, si capirà anche l'origine dello spirito tedesco '- l'intestino in di_
sordine... Lo spirito tedesco è un'indigestione, non assimila nulla. - Art»
che la dieta inglese tuttavia, che paragonata a quella tedesca, persino a
quella francese, è una sorta di «ritorno alla natura», cioè al cannibalismo,
ripugna profondamente al mio istinto; mi sembra che essa dia allo spirito
piedi pesanti -- piedi da donne inglesi... La cucina migliore è quella pie.
montare. 4 Gli alcolici mi sono dannosi; un bicchiere di vino o di birra al
giorno è quanto basta per fare della mia vita una «valle di lacrime», - i
miei antipodi sono a Monaco. Pur ammettendo che tutto questo l'abbia
capito un po' tardi, l'ho però vissuto fin da bambino. Da ragazzo credevo
che bere vino. come fumare, fosse, all'inizio, solo una vanitas da giovanop
ti, poi una cattiva abitudine. Forse anche il vino di Naumburg è responsa-
bile di questo duro giudizio. Per credere che il vino rendesse allegri avrei
dovuto essere cristiano, cioè avrei dovuto credere, ciò che per me è un'as-
surdità. È abbastanza strano, ma mentre piccole dosi d'alcool, molto dilui-
te mi procurano un'estrema irritazione, divento quasi un marinaio se si
tratta di dosi forti. Già da ragazzo questa era la mia prodezza. Scrivere e
poi anche ricopiare, in una notte, una lunga dissertazione in latino, con
nella penna l'ambizione di imitare il mio modello Sallustio, nel rigore e
nella densità, e innaffiare il mio latino con un GROG ad altissimo potenzia-
le. quand'ero scolare nella veneranda Schulpforta, tutto questo non era af-
fatto in contrasto con la mia fisiologia e forse neppure con uella di Sallu-
stio - per quanto lo fosse con la veneranda Schulpforta...% vero che più
tardi, verso la metà della vita, mi decisi, con sempre maggior rigore, ad es-
sere contro ogni specie di bevanda «spiritosa»: io, avversario per esperien-
za del regime vegetariano, proprio come Richard Wagner che mi ha con-
vertito, non potrò mai consigliare con sufficiente fermezza a tutte le nature
più spirituali. L'assoluta astensione dagli alcolici. È sufficiente l'acqua...
lo prediligo i luoghi dove si ha dovunquel'occasione di attingere a sorgenti
vive (Nizza, Torino, Sils); un bicchierino mi accompagna dappertutto, co-
me un cane. In vino veritas: pare che anche qui sia di nuovo in disaccordo
con il mondo sul concetto di «verità»: in me lo spirito si libra sull'acqua...
Ancora un paio di indicazioni sulla mia morale. E più facile digerire un pa'
sto copioso che uno troppo leggero. Che lo stomaco tutto intero entri in at-
tività è questa la prima condizione per una buona digestione. Bisogna cd
nascere le dimensioni del proprio stomaco. Per lo stesso motivo sono scon-
sigliabili quei pranzi noiosi, da me chiamati cerimonie sacrificali interrotte.
che sono i pasti alla table d'hóte. - Nulla fuori pasto, nessun caffè: il caf'
le rende tetti. Il tè e salutare solo al mattino. Poco, ma forte; il tè e mol-
to dannoso e infiacchisce tutta la giornata, se è troppo leggero, anche solo
di poco. In queste cose ognuno ha la sua misura, spesso tra i limiti più I}-
dotti e più delicati. In un clima molto snervante il tè è sconsigliabile all'im-
zio della giornata: bisogna iniziare un'ora prima con una tazza di cacao
sgrassato e molto denso. - Restare seduti il meno possibile; non presta!
PERCHÉ sono cosi ACCORTO 349
fede a nessun pensiero che non sia nato all'aperto e in movimento, - nel
quale anche i muscoli non abbiano la loro festa. Tutti i pregiudizi vengono
dai visceri. - La immobilità - l'ho già detto una volta - è il vero peccato
contro lo spirito santo. -
2.
Al problema dell'alimentazione e strettamente unito il problema del luo-
gn e del clima. Nessuno è libero di vivere dappertutto; e chi deve realizzare
grandi compiti, che esigono tutta la sua forza, ha qui una possibilità di
scelta molto limitata. L'influsso del clima sul metabolismo, i suoi impedi-
menti, le sue accelerazioni hanno tanto peso che una mossa falsa nella scel-
ta del luogo e del clima non solo può estraniare qualcuno dal suo compito,
ma addirittura nasconderglielo: egli non lo scorgerà mai. Il vigor animale
non diventerà mai così grande in lui da raggiungere quella libertà traboc-
cante fino ai vertici della spiritualità, laddove un uomo può riconoscere:
questo posso farlo io solo... Un'inerzia intestinale, anche lieve, diventata
una brutta abitudine, è quanto basta per fare di un genio qualcosa di me-
diocre, qualcosa di «tedesco»; è sufficiente il solo clima tedesco per sco-
raggiare intestini forti e anche eroici. Il ritmo del metabolismo e in preciso
rapporto con la mobilità o la paralisi dei piedi dello spirito; lo «spirito»
stesso non è che un modo di questo metabolismo. Si mettano insieme i tuo»
ghl dove vi sono e vi sono stati uomini ricchi di spirito, dove arguzia, raffi-
natezza, la cattiveria erano parte integrante della felicità, dove il genio si
ambientava quasi per necessità: hanno tutti un'aria notevolmente asciutta.
Parigi, la Provenza, Firenze, Gerusalemme, Atene - questi nomi dimo-
strano una cosa: il genio è condizionata dall'aria asciutta, dal cielo puro,
- cioè da un metabolismo rapido, dalla possibilità di attirare continua-
mente a sé grandi, quasi immense, quantità di forza. Ho davanti agli occhi
il caso di uno spirito notevole e libero che divenne ristretto, rattrappito,
specialista e acido per l'assenza di raffinatezza d'istinto per quanto riguar-
da il clima. E io stesso infine avrei potuto diventare un caso simile, posto
che la malattia non mi avesse costretto alla ragione, alla riflessione sulla
ragione nella realtà. Ora che, grazie a un lungo esercizio, leggo in me, co-
me in un raffinatissimo e preciso strumento, gli effetti d'origine climatica e
meteorologica, e già in un breve viaggio, ad esempio da Torino a Milano,
calcolo fisiologicamente in me il mutamento del grado di umidità dell'aria,
penso con terrore al fatto inquietante che la mia vita, fino agli ultimi dieci
anni, gli anni mortalmente pericolosi, e trascorsa sempre e soltanto in luo-
ghi sbagliati e per me addirittura proibiti. Naumburg, Pforta, la Turingia
in generale, Lipsia, Basilea - altrettanti luoghi infausti per la mia fisiolo-
gia. Se generalmente non ho ricordi piacevoli di tutta la mia infamia e la
mia giovinezza, sarebbe una pauia attribuirne la responsabilità alle cosid»
dette cause «morali», - ad esempio alla indiscutibile assenza di una com-
pagnia conveniente: poiché questa assenza sussiste oggi come sempre, sen'
la impedirmi di essere sereno e coraggioso. Ma l'ignoranza in physiologicis
' il maledetto «idealismo» - è la vera sciagura della mia vita, quanto vi è
in essa di superfluo e di stupido, qualcosa da cui non e venuto niente di
buono, per cui non vi è compenso né contropartita. Dalle conseguenze di
questo «idealismo» mi spiego tutti i passi falsi, tutte le grandi aberrazioni
dell'istinto e le «modestie» estranee al compito della mia vita, ad esempio
il fatto che io sia diventato filologo - perché non medico almeno, 0 qual-
cos'altro che facesse aprire gli occhi? Al tempo di Basilea il mio intero regi-
Page 17
850 ECCE HOMg
me spirituale, compresa la divisione della giornata, era uno spreco assolu.
tamente insensato di forze straordinarie, senza un afflusso di energie che
coprisse in qualche modo il consumo, senza neppure una riflessione sul
consumo e il ricambio, Mancava ogni più raffinato egoismo, ogni prole.
zione dell'istinto di comando, era un porsi al livello di chicchessia, un «al_
truismo», un dimenticare le distanze, - qualcosa che non mi perdonerà
mai. Quando fui quasi alla fine. proprio perché ero quasi alla fine, comirp
ciai a riflettere su questa fondamentale insensatezza della mia vita - l'«i-
dealismo». Solo la malattia mi ha portato alla ragione. '
3.
La Scelta dell'alimentazione; la scelta del clima e del luogo; - la terza
cosa sulla quale a nessun costo si può fare un passo falso è la scelta del
proprio modo di riposarsi. Anche qui, a seconda del grado in cui uno spiri-
to è suigeneris, i limiti di ciò che gli è permesso, cioè di ciò che gli è utile, si
restringono sempre più. Nel mio caso ogni lettura appartiene alla categoria
di ciò che mi riposa: di ciò che mi stacca, cioè, da me stesso, che mi per-
mette di vagare in scienze e in anime sconosciute, _ di ciò che non prendo
più sul serio. La lettura mi riposa proprio della mia serietà. Nei periodi di
grande lavoro non si vedono libri intorno a me: mi guarderei dal lasciare
che qualcuno parlasse, o perfino pensasse la mia presenza. E leggere signi-
ficherebbe proprio questo... Si è veramente osservato che in quella profon-
da tensione alla quale la gestazione condanna lo spirito e in fondo l'intero
organismo, il caso, ogni sorta di eccitamento esterno ha un effetto troppo
violento, «sferza» troppo in profondità? Per quanto è possibile, bisogna
evitare il caso, l'eccitamento esterno; qualcosa come un murarsi dentro di
sé è una delle principali istintive astuzie della gestazione spirituale. Permet-
terò che un pensiero estraneo scali di nascosto questo muro? Leggere signi»
ficherebbe proprio questo... Ai periodi di lavoro e di fecondità segue il
tempo del riposo: avanti, voi, libri piacevoli, ricchi di spirito, intelligenti!
' Saranno libri tedeschi?... Devo tornare indietro di sei mesi per sorpren-
dermi con un libro in mano. Di che si trattava? Un notevole studio di Vic-
tor Brochard, Les Sceptiques Grecs, nel quale sono ben utilizzati anchei
miei Laertinna. Gli scettici, l'unico tipo rispettabile nel popolo dal doppio
e quintuplo senso. il popolo dei filosofi! . Del resto trovo quasi sempre
scampo negli stessi libri, pochi in fondo, i libri che hanno dimostrato di es-
serc per me. Forse non sono tipo da leggere molto e di molti generi: una sa-
la di lettura mi fa star male. Non sono neppure il tipo da amare molte cose
e di specie diversa. La cautela, perfino l'ostilità peri nuovi libri appartiene
al mio istinto, più che la «tolleranza», «La Inrgeur du coeur», e altri «amo
ri del prossimo»... in fondo quello a cui ritorno sempre è un piccolo nume-
ro di vecchi francesi: credo solo alla cultura francese *« e tutto ciò che in
Europa viene generalmente chiamato «cultura», per non parlare della cui
tura tedesca e per me un equivoco... l rari casi di cultura superiore che ho
incontrato in Germania erano sempre di origine francese, a cominciare d_31-
la signora Cosima Wagner, di gran lunga la voce più alta che abbia sentth
in fatto di gusto... Che io non legga, ma ami Pascal come la vittima p"!
istruttiva del cri i' ' » ' ' lent prima f' ' _ ' _P°!
psicologicamente, con tutta la logica di questa forma, tra le più terribili, dl
crudeltà inumana; che io abbia nello spirito, chissà. forse. anche nel fisico.
qualcosa della prepotenza di Montaigne; che il mio gusto d'artista. prcflda
sotto la sua protezione, non senza rabbia, contro un genio selvaggio come
PERCHÉ SONO cosi acconro 851
Shakespeare, i nomi'di Molière, Corneille e Racine: tutto ciò, in fondo,
non esclude che anche i francesi più recenti siano per me una compagnia
charmante. Non vedo proprio in quale secolo della storia si possono pesca»
re tutti insieme psicologi cosi curiosi e contemporaneamente cosi delicati
come quelli che si trovano oggi a Parigi: nomino a caso - poiché il loro
numero non è piccolo - i signori Pani Bourget, Piene Loti, Gyp. Mell-
hac, Anatole France, Jules Lemaitre, o, per indicarne uno di razza forte,
un vero latino, al quale sono particolarmente affezionato, Guy de Maupas»
5ant. lo, detto tra noi, preferisco questa generazione persino ai suoi grandi
maestri, che sono tutti quanti guastati dalla filosofia tedesca: il signor Tai'
ne, a esempio, da Hegel, al quale deve l'incomprensione di grandi uomini e
grandi epoche. Ovunque giunga. la Germania guasta la civiltà. in Francia
solo la guerra ha «liberato» lo spirito. . Stendhal, uno dei casi più belli del-
la mia vita -e perché tutto ciò che in essa fa epoca, mi è giunto per caso,
mai per una raccomandazione - è inestimabile con il suo sguardo precur-
sore di psicologo, con la sua presa sulla realtà, che ricorda la vicinanza del
massimo realista (ex ungue Napoleonem -); infine, e non è il merito mi-
nore, è un ateo onesto, una specie: rara in Francia, e quasi introvabile -
ad onore di Prasper Mérimée... Forse sono io stesso invidioso di Stendhal?
Mi ha sottratto la migliore battuta da ateo che proprio io avrei potuto fare:
«L'unica giustificazione di Dio è che non esiste»... lo stesso ho detto da
qualche parte: qual è stata finora la maggior obiezione contro l'esistenza?
Dio...
il più elevato concetto di poeta lirico me l'ha dato Heinrich Heine. Cer-
co invano in tutti i regni dei millenni una musica ugualmente dolce e appas'
sionata. Egli possedeva quella divina malizia senza la quale non so imma_
ginare la perfezione, - lo valuto il valore degli uomini, delle rane, dalla
coscienza che essi hanno della necessaria inseparabilità di Dio dal satiro.
- E come tratta la lingua tedesca! Si dirà un giorno che Heine e io siamo
stati di gran lunga i massimi artisti della lingua tedesca - a incalcolabile
distanza da tutto ciò che ne hanno fatto i Tedeschi comuni. -- Devo avere
una comunanza profonda con il Manfredi di Byron: trovo in me tutti que-
sti abissi, - a tredici anni ero maturo per quest'opera. Non rivolgo una
parola, ma appena uno sguardo, a quelli che, di fronte al Manfredi, osano
pronunciare il nome di Faust. l Tedeschi sono incapaci di ogni concetto di
grandezza: la prova è Schumann, lo stesso, per la rabbia contro questo
Sassone dolciastro, ho composto una contro-ouverture al Manfredi, della
quale Hans von Bùlow disse che non aveva mai visto nulla di simile su car-
ta da musica: che era lo stupro di Euterpe. - Se cerco per Shakespeare la
mia formula più sublime, trovo sempre soltanto la stessa, cioè che egli ha
concepito il tipo di Cesare. Cose del genere non si indovinano, - 0 si è co-
si o non lo si è. Il grande poeta crea solo dalla propria realtà - fino al
punto che, dopo, non sopporta più la propria opera... Quando getto uno
sguardo al mio Zarathustra, vado avanti e indietro nella stanza per una
mezz'ora, incapace di dominare un'insostenibile crisi di singhiozzi. - Non
Conosco lettura più straziante di Shakespeare: che cosa deve aver sofferto
un uomo per aver a tal punto bisogno di fare il pagliaccio! _ Qualcuno
Comprende Amleto? Non il dubbio, la certezza è ciò che rende folle... Ma
bisogna essere profondi, bisogna essere abissi, bisogna essere filosofi per
sentire cosi... Noi tutti temiamo la verità... E, devo riconoscerlo: sono
Page 18
852 ECCE HOMQ
istintivamente sicuro e certo che Lord Bacon è il creatore di questo genere,
il più inquietante, di letteratura, colui che di questa si è torturato a mo'
d'esperimento: cosa mi importa delle chiacchiere miserevoli di Americani
dalle teste confuse e piatte? Non solo invero la forza della più poderosa
realtà nella visione è compatibile con la forza più poderosa nell'azione,
nella mostruosità dell'azione, nel crimine - essa la presuppone addiritrw
m... Siamo lontani dal saperne abbastanza su Lord Bacon, il primo reali»
sta in tutti i grandi significati della parola, per sapere tutto ciò che ha fat-
to, ciò che ha voluto, ciò che ha sperimentato in se stesso... E al diavolo,
signori critici! Posto che avessi battezzato il mio Zarathustra con un nome
diverso, per esempio con quello di Richard Wagner, la sagacia di due mil-
lenni non sarebbe stata sufficiente per indovinare che l'autore di Umano,
troppo umana è il visionario di Zarathustra...
5.
Qui, dove parlo dei conforti della mia vita, è indispensabile una parola
per esprimere la mia gratitudine per ciò che in essa mi ha ristorato nel mo-
do di gran lunga più profondo e benevolo. Ciò è stata, senza alcun dubbio,
la mia intima vicinanza a Richard Wagner. Non tengo in gran conto tutti
gli altri miei rapporti umani; non vorrei sottrarre dalla mia vita, a nessun
prezzo, i giorni di Tribschen, i giorni della fiducia, della gaiezza, dei casi
sublimi « degli istanti profondi... Non so cosa altri abbiano vissuto con
Wagner: sul nostro cielo è mai passata una nuvola. - E con ciò torno an-
cora una volta alla Francia, - non ho argomenti, ho solo una smorfia
sprezzante per i wagneriani et hocgenus omne, che credono di far onore a
Wagner trovandolo simile a se stessi... Estraneo come sono, nei miei istinti
più profondi. a tutto ciò che e tedesco, tanto che la sola vicinanza di un te»
desco mi ritarda la digestione, il primo contatto con Wagner segnò anche il
primo momento della mia vita in cui respirai a fondo: lo sentii, lo venerai
come un paese straniero, come antitesi, come protesta vivente contro tutte
le «virtù tedesche». h Noi, che siamo stati bambini nella palude degli anni
Cinquanta, siamo necessariamente pessimisti sul concetto di «tedesco»;
non possiamo essere nient'altro che rivoluzionari _ non ammettererno
nessuno stato di cose in cui domini il bigotta, Mi e completamente indiffe-
rente se si riveste oggi di altri colori, se si ammanta di scarlatto. se indossa
l'uniforme degli ussati Bene! Wagner era un rivoluzionario - egli fuggi-
va davanti ai Tedeschi In quanto artisti non si ha altra patria in Europa
che Parigi; la delicatesse in tutti i cinque sensi dell'arte, che l'arte di Wa-
gner presuppone, il tocco per le nuances, la morbosità psicologica, tutti)
questo si trova solo a Parigi. In nessun altro luogo si ha questa passione
per i problemi della forma. questa serietà nella mise en scène -- è la serietà
parigina par eXCellence. In Germania non si ha la minima idea della enor-
me ambizione che vive nell'anima di un artista parigino. Il tedesco è bona-
rio - Wagner non era per nulla bonario... Ma ho spiegato già a sufficiem
za (in Aldilà del bene e del male, p. 256), dove dobbiamo situare Wagnerv
dove si trovino i suoi affini più stretti: è il tardo romanticismo francese,
quel genere d'artisti che volano in alto e che trascinano verso l'alto come
Delacroix, come Berlioz, con un fonti di malattia, di congenita insanabili-
tà, tutti fanatici dell'espressione, virtuosi in tutto e per tutto... Chi fu il
primo seguace intelligente di Wagner? Charles Baudelaire, lo stesso che
comprese per primo Delacroix, quel tipico décadent nel quale si è ricono'
sciuta un'intera generazione di artisti - forse fu anche l'ultimo... CDsai
PERCHÉ sono cosi acconro 853
non ho mai perdonato a Wagner'l Di aver accondisceso ai Tedeschi -_ di
essere diventato un tedesco dell'impero... Dovunque la Germania arrwt,
guasta la civiltà. -
6.
Tutto considerato, non avrei sopportato la mia giovinezza senza la musi:
ca wagneriana. Poiché ero condannato ai Tedeschi. Se ci si vuol liberare di
una pressione insopportabile, si ha bisogno dell'harchish. Ebbene, io ave:
vo bisogno di Wagner. Wagner e, par exceilence, l'antidoto contro tutti I
Tedeschi, un veleno, non lo contesto... Dal momento in cui_apparve una
riduzione per pianoforte del Tristano - i miei complimenti, signor.von
Biilow! -, fui wagneriano. Le opere precedenti di Wagner le vedevo tnfe:
riori a me - ancora troppo comuni, troppo «tedesche»... Ma ancor _oggi
cerco un'opera con lo stesso pericoloso fascino, con la stessa terribile e
dolce infinità del Tristano -_ cerco invano in tutte le arti. Tutti i misteri di
Leonardo da Vinci perdono il loro incanto alle prime note del Tristano.
Quest'opera è senz'altro il non plus ultra di Wagner; egli si riposo di que-
st'opera con i Maestri cantori e L'anello. Diventare piu sani _« e un regres»
sa in una natura come quella di Wagner... Ritengo un'enorme fortuna l'a-
ver vissuto al tempo giusto, e proprio tra i Tedeschi, per essere maturo per
quest'opera: tanto lontano giunge, in me, la curiosità dello psicologo. Il
mondo è povero per colui che non è stato mai abbastanza malato per que-
sta «voluttà dell'inferno»: e consentito, è quasi obbligatorio, adoperare
qui una formula mistica. - Penso di conoscere meglio di chiunque altro i
prodigi di cui Wagner è capace, i cinquanta mondi di ignote estasi per i
quali nessuno oltre a lui aveva avuto le ali; e poiché, per come sono fatto,
sono forte abbastanza per volgere a mio vantaggio anche l'elemento più
problematico e pericoloso e diventare con ciò ancor più forte, chiamerò
Wagner il maggior benefattore della mia vita. Ciò in cui Siamo affini, l'a-
ver sofferto anche l'uno a cagione dell'altro, più profondamente di_quanto
gli uomini di questo secolo possano mai soffrire, riunirà per l'eternità i no_
stri nomi; e come è certo che Wagrier è solo un fraintendimento tra i'Tede-
schi, cosi lo sono io e lo sarò sempre. Per prima cosa due secoli di discipli-
na psicologica e artistica, signori Germanil... Ma questa è una cosa che
non si ricupero. -
Aggiungerò ancora una parola per le orecchie più sottili: ciò che io vo-
glio esattamente dalla musica. Che essa sia gaia e profonda, come un me»
riggio d'ottobre. Che sia strana, sfrenata, tenera, una piccola donna dolce,
piena di malizia e di grazia... Non ammetterà mai che un tedesco possa sa-
pere cos'è la musica. Quelli che son chiamati musicisti tedeschi, e soprat-
tutto i più grandi, sono stranieri, Slavi, Creati, Italiani, Qlandesi - o
Ebrei; diversamente sono Tedeschi della razza forte, Tedeschi estinti, come
Heinrich Schtitz, Bach e Hàndel. Io stesso sono ancor sempre abbastanza
polacco per dare in cambio di Chopin tutto il resto della musica: faccro ec-
cezione, per tre motivi, per L'idillio di Sigfrido. di Wagner, forse anche
per Liszt, che nei nobili accenti orchestrali è superiore a ogni altro campo-I
Sitore; e infine per tutto ciò che si è sviluppato al di là delle Alpi - al di
qua... Non vorrei tralasciare Rossini, e ancor meno mm Sud nella musi:
fa. la musica del mio maestro veneziano Pietro Gastr. E quando dico al di
Page 19
85' ecce Homo
la delle Alpi, dico in effetti soltanto Venezia. Se cerco un'altra parola per
la musica, trovo sempre e soltanto la parola Venezia. Non esiste per me
differenza tra musica e lacrime - non posso immaginare la felicità, il Sud
senza un brivido di sgomento. '
Stavo sul ponte
poco tempo fa nella bruna notte.
Di lontano giungeva un canto:
gocce dorate scorrevano
sulla superficie tremante.
Gondole, luci, musica -
ehbre si perdevano nel Crepuscolo."
La mia anima. un suono di violino
a sé cantava, toccata da dita invisibili,
segretamente, un canto di gondoiieri,
tremando di felicità multicolore
« L'ha udita mai qualcunol...
8.
ln'tutto ciò - nella scelta dei cibi, del luogo e del clima, del riposo -
domin_a un istinto di autoconservazione, che nel modo più netto si esprime
come istinto di autodifesa. Non vedere, non udire, non farsi avvicinare da
molte cose - prima astuzia, prima dimostrazione che non vi è un caso,
bensì una necessità. La parola corrente, per questo istinto di autodifesa, e
gusto: il suo imperativo non ci ordina solo di dire no, dove il si sarebbe se-
gno di «altruismo», ma anche di dire no i! meno possibile. Separarsi, divi-
derst da ciò dove il no sarebbe continuamente necessario. La ragione di ciò
sta nel fatto che le spese difensive, anche minime, diventando regola, abi-
tudine, determinano un impoverimento straordinario e assolutamente su-
perfluo. Le nostre grandi spese sono le piccole spese che si ripetono. Il di-
fendersi, il non lasciarsi avvicinare è una spesa - non ci Si inganni qui _-,
upa_forza sprecata per fini negativi. Unicamente per la costante necessità
di difendersi, si può diventare troppo deboli per potersi ancora difendere.
f Posto che esca dalla mia casa e trovi, invece della tranquilla e aristocra-
tica Tonno, una piccola città tedesca: il mio istinto dovrebbe barricarsi per
respingere tutto ciò che preme su di lui da questo mondo piatto e codardo.
E se trovassr una grande città tedesca, questo vizio divenuto città, dove
non cresce nulla, dove ogni cosa, buona e cattiva, e importata? Non dovrei
allora farmi istrit'e? - Ma avere aculei è uno spreco. addirittura un doppio
lusso, quando sarebbe possibile non avere aculei, sibbene mani aperte...
Un'altra astuzia e autodifesa consiste nel fatto di reagire il più raramerr
[epossibile e di sottrarsi a situazioni e condizioni nelle quali ci si trovereb-
be costretti a esporre, per cosi dire, la propria «libertà», la propria iniziati-
va_e diventare un semplice reagente. Prendo a paragone il rapporto coni liv
bn._ll dotto, che in fondo si limita a «eompulsare» i libri - circa duecento
al giorno per il filologo di capacità media - perde alla fine completamente
la capacità di pensare da solo. Se non compulsa non pensa. Quando pensa,
risponde a uno stimolo (- un pensiero letto) - alla fine non fa che reagi-
re. il dotto pone tutta la sua energia nel dire si e no, nella critica del già
pensato, -- egli stesso non pensa più .. L'istinto d'autodifesa si è rammob
lito; diversamente si rivolterebbe contro i libri. il dotto - un décndent- -'
L'ho vrsto con i miei occhi: nature dotate, ricche e nate per essere libere
«ammazzare dalla lettura» già. a trent'anni, ridotti ormai a fiammiferi, che
bisogna strofinare perché diano scintille -- «pensieri» '-. Leggere un libro
PERCHÉ sono cosi ACCORTO 855
di prima mattina, al giungere del giorno, nella piena freschezza, lnell'auro-
ra della propria forza, questo io lo chiamo vizio! -«
9.
A questo punto non si può più fare a meno di dare la vera risposta alla
domanda come si diventa ciò che si è. Arrivo così al capolavoro nell'arte
de ' vazitme - l' ' .. I cioè che il r' , la
determinazione, il destino del compito sia molto al di sopra della media,
nessun pericolo sarebbe maggiore di vedere se stessi di fronte a questo
compito. Divenire ciò che si è presuppone che non si indovini neppure lori»
tanamentc ciò che si e. Da questo punto di vista anche i passi falsi della vi-
ta hanno il loro senso e il loro valore, le temporanee deviazioni e gli svia-
menti, le esitazioni, i «pudori», la serietà sprecata in compiti che stanno al
di là del compito. in ciò si manifesta una grande accortezza, a dirittura la
massima astuzia: laddove il nasce te ip.rum sarebbe il mezzo pi sicuro per
perdersi. il dimenticarsi, il fraintendersi, il ridursi, il limitarsi, il mediocriz«
zarsi diviene ora la ragione stessa. Per dirla in termini morali: l'amore del
prossimo, una vita dedicata agli altri e alle altre cose può essere la regola di
difesa per il mantenimento del più rigido senso di sé. E il caso eccezionale
nel quale, contro la mia regola e la mia convinzione, prendo partito per gli
impulsi «disinteressati»: essi lavorano, qui, al servizio dell'egoismo. del-
l'autvdisciplina. - Bisogna tenere sgombra tutta intera la superficie della
coscienza - la coscienza è una superficie - da qualsiasi grande imperati«
vo. Attenzione anche alle grandi parole, ai grandi atteggiamenti! Tutti pe-
ricoli che l'istinto «si comprenda» troppo presto. Nel frattempo, nel pro-
fondo, cresce sempre di più l'«idea» organizzatrice. l'idea chiamata al do-
minio, - essa comincia a comandare, riconduce lentamente indietro dalle
deviazioni e dagli sviarnenti, prepara singole qualità e capacità, che si di«
mostreranno un giorno indispensabili come strumento per il tutto, -- essa
forma successivamente tutti i poteri subalterni, prima ancora di far cono-
scere qualcosa del compito dominante, della «mera», dello «scopo», del
«senso». - Considerata da questo punto di vista, la mia vita è semplice
mente prodigiosa. Per il compito di una trasvalutazione dei valori erano
forse necessarie maggiori capacità quelle che si sono trovate a coesistere in
una sola persona, e soprattutto contrapposizioni di poteri cui non è dato
tuttavia disturbarsi o distruggersi. Gerarchia dei poteri; distanza; l'arte di
separare senza inimicare; non mescolare nulla, non «conciliare» nulla, una
' " ' ' enorme, che ' ante e 1' (f del caos - questo era
il presupposto, il lungo lavoro segreto, la maestria del mio istinto. La sua
superiore protezione si è dimostrata così forte che in nessun caso ho anche
soltanto presentito ciò che cresceva in me, -» e tutte le mie attitudini sono
balzate fuori un giorno all'improvviso, mature, in tutta la loro perfezione.
Non ricordo di essermi mai sforzato, non c'è traccia di [alla nella mia vita.
io sono l'opposto di una natura eroica. «Volere» qualcosa, «tendere» a
qualcosa, avere in vista uno «scopo», un «desiderio» -- tutto ciò io non lo
conosco per esperienza. In questo stesso attimo guardo al mio futuro -- un
futuro vasto! -- come a un mare piatto: nessun desiderio lo increspa. Io
non voglio in alcun modo che qualcosa diventi diverso da ciò che è; io stes-
so non voglio diventare diverso. Ma è cosi che ho sempre vissuto. Non ho
avuto alcun desiderio. Qualcuno che possa dire, alla fine del suo quaranta-
quattresimo anno, che non ha mai cercato di ottenere, onori. donne, dena'
ro! -- Non che mi siano mancati... Così, ad esempio, sono stato un tempo
Page 20
856 ECCE Homo
professore di università, - non avevo pensato niente di simile, neppure di
lontano, poiché avevo solo 24 anni. Cosi, due anni prima. a un certo pun_
to, ero diventato filologo: nel senso che il mio primo lavoro filologico, il
mio inizio, in tutti i sensi, fu richiesto dal mio maestro, Ritschl, per pubbli-
carlo nel suo Rher'nisches Museum (Ritschl - lo dico con venerazione -
l'unico dotto geniale che lo abbia incontrato fino ad oggi. Possedeva quel-
la amabile corruzione, che distingue noi della Turingia e che rende simpati»
co perfino un tedesco: - noi preferiamo ancora le vie traverse anche per
arrivare alla verità. Con queste parole non vorrei affatto aver sottovaluta-
to il mio più vicino conterraneo, l'accorto Leopold von Ranke...).
10.
- Mi si chiederà perché ho raccontato proprio tutte queste cose, piccole
e, secondo il giudizio corrente, insignificanti; con ciò faccio danno a me
stesso, tanto più se fossi destinato a sostenere grandi compiti. Risposta:
queste piccole cose - alimentazione, luogo, clima, riposo, l'intera casisti-
ca dell'egoismo - sono infinitamente più importanti di tutto ciò che sino
ad oggi si è considerato importante. Proprio qui bisogna iniziare, per im-
parare in modo diverso. Ciò che fino ad oggi l'umanità ha preso sul serio
non sono neppure delle realtà, ma semplici fantasie o, più esattamente,
menzogne nate dai cattivi istinti di nature malate, dannose nel significato
più profondo - tutti i concetti di «dio», «anima», «virtù», «peccato», «al
di la», «verità», «vita eterna»... Ma in essi si è cercata la grandezza della
natura umana, il suo carattere divino... Tutti i problemi politici, dell'orga-
nizzazione sociale, dell'educazione sono stati falsati alla base dal fatto di
aver preso per grandi uomini gli uomini più dannosi, di aver insegnato a
disprezzare le «piccole cose», voglio dire le questioni basilari della vita
stessa... La nostra cultura attuale è ambigua al massimo grado... L'impe-
ratore tedesco che patteggia col papa, come se il papa non fosse il rappre
sentantc della mortale ostilità contro la vital... Ciò che viene edificato oggi
non ci sarà più tra tre anni. - Se mi misuro per ciò chepossa, per non par-
lare di ciò che verrà dopo di me, un sovvertimento, una costruzione senza
pari, allora ho diritto alla parola grandezza più di qualsiasi altro mortale.
Se ora mi paragono ain uomini che fino ad oggi sono stati onorati comei
primi, allora la differenza è palpabile. Io non conto questi protesi «primi»
neppure tra gli uomini in generale, - per me essi sono la feccia dell'umani-
tà. prodotti della malattia e di istinti vendicativi: essi sono tutti nonmomi-
ni innesti, fondamentalmente incurabili, che si vendicano della vita... Vo-
glio essere il loro opposto: il mio privilegio e di avere la massima raffina
tezza per tutti i segni degli istinti sani. Manca in me ogni segno patologico:
anche nei momenti di grave malattia io non sono mai diventato morboso:
si ccrcherebbe invano in me un tratto di fanatismo. In nessun momento
della mia vita si potrà indicare in me un atteggiamento arrogante o pateti-
co. 11 pathos dell'atteggiamento non appartiene alla grandezza; chi ha bi-
sogno di atteggiamenti èfalso... Attenzione alle persone pittoresche! -« La
vita mi ècliventata lieve, lievissima quando pretendeva da me le cose più pe-
santi. Chi mi ha visto durante i settanta giorni di questo autunno, in cui senza
intenzione, con il senso di responsabilità per i millenni che verranno, ho fatto
solo cose di prim'ordine che nessuno farà dopo di me -- o ha fatto primfl
- non avrà notato in me nessun segno di tensione, ma anzi una trabomafl'
te freschezza e serenità. Non ho mai mangiato con un senso di maggio
e piacere, non ho mai dormito meglio. - Non conosco altro modo che il
gioco per occuparsi di grandi compiti: come segno di grandezza è un pre-
supposto fondamentale. Il minimo sforzo, una espressione cupa, un accen-
to duro nella voce sono tutte obiezioni contro un uomo, ancor più contro
la sua operai. .. Non si possono avere i nervi. .. Anche soffrire di solitudine
è un'obiezione, - io ho sempre sofferto soltanto di «moltitudine»... In
un'età assurdamente prematura, a sette anni, sapevo già che mai parola
umana mi avrebbe raggiunto: mi si è mai visto turbato per questo? -- Ho
ancora oggi la stessa affabilità verso chiunque, sono anche pieno di consi-
derazione verso i più umili: in tutto ciò non c'è un grano di arroganza, di
segreto disprezzo. Colui che disprezzo indovina di essere disprezzato da
me: con la mia sola esistenza io irrito tutto ciò che ha sangue cattivo nelle
vene... La mia formula per ciò che vi e di grande nell'uomo è amor fari:
non voler avere nulla di diverso, né davanti né alle spalle, né in tutta l'eter-
nità. Non sopportare, semplicemente, l'ineluttabile e meno ancora dissi-
mularlo - ogni idealismo è menzogna di fronte all'ineluttabile f», m
Commenti
Posta un commento