Qua+ Quaderno
La metafora del libro (o dovremmo dire del quaderno?), quasi completamente
autoconsistente, permette di usare ToolBook senza essere degli informatici, senza cioè
avere idea di come vengano memorizzati i dati, di come venga gestita la memoria, ecc. Si
crea uno spazio comune tra insegnanti, studenti e professionisti che si trovano a
condividere uno strumento, una metafora, un linguaggio, anche se ognuno può usarlo e
approfondirlo a livelli diversi. Lo stesso ambiente di sviluppo può essere usato per il più
semplice ipertesto scolastico come per sofisticate applicazioni che gestiscono dati
multimediali georeferenziati. Non è un caso che proprio su TB venga organizzato a
Panicale nel 1999 un seminario residenziale di autoformazione in cui a turno tutti i
partecipanti hanno la possibilità di essere docenti e discenti.
Un altro aspetto importante di TB è che possiede un linguaggio interpretato; è possibile,
durante l’esecuzione di un programma, creare oggetti, assegnare proprietà ma anche
scrivere nuovi metodi. Di qui la facilità con cui è possibile creare applicazioni che
evolvono, il cui comportamento è fondamentalmente deciso dall’utente. Di qui ancora la
possibilità di creare una classe speciale di applicazioni: i software autore educativi, il cui
contenuto non è predeterminato dal programmatore, ma deve essere deciso e realizzato
dall’utente. Solo la metafora, in alcuni casi, viene fissata, come indirizzo di massima e
come limitazione delle funzioni presenti.
È interessante seguire l’impatto sulla cultura educativa italiana di quegli anni di una
caratteristica così squisitamente tecnica. TB era uno strumento relativamente caro,
almeno per il mercato scolastico italiano, ma aveva la particolarità di avere un runtime
(l’interprete, la parte necessaria per far funzionare le applicazioni) ridistribuibile
gratuitamente. Per le ragioni dette sopra, con il solo interprete e poche righe di codice era
possibile realizzare applicazioni che, a partire da uno scheletro, erano in grado di
crescere. In pratica, era possibile creare dei mini-toolbook che potevano essere venduti a
un prezzo molto inferiore all’originale ma ne avevano tutte le potenzialità principali,
almeno quelle utilizzabili in una scuola. Cavallo di battaglia di alcune, se non tutte, le
piccole imprese di cui parliamo, sono proprio una o più applicazioni di questo tipo, che
permettevano di creare mappe, vocabolari, atlanti, libri multimediali ovvero ipertesti.
Sembrava l’uovo di Colombo, perché promuoveva il prodotto completo (TB) attraverso
dei fratelli minori a basso costo; e invece fu all’origine di una polemica tra la casa madre,
la Asymetrix, e una delle imprese, cui fu intimato di smettere di distribuire la prima
versione di uno dei software autore più conosciuti in Italia a causa di una presunta
violazione del contratto.
Quello che qui ci interessa sottolineare è che anni prima della diffusione in Italia del
paradigma opensource si cominciava a sentire l’esigenza di colmare lo spazio tra
informatica «ufficiale» e informatica «artigianale», tra programmatori professionisti e
ricercatori in campo educativo, docenti, genitori e studenti. Anni prima che il web 2.0
inventasse (o riscoprisse) il ruolo dell’utente-autore, almeno nel campo educativo questo
utente non passivo ma creativo, poco professionale ma impegnato, esisteva ed era ben
presente come target. Una volta compreso che il motore educativo dell’ipertestualità non
era la fruizione, ma la creazione di link e nodi, la disponibilità di strumenti economici in
grado di soddisfare questa nuova richiesta era una condizione essenziale per lo sviluppo.
In un’era in cui l’HTML cominciava appena ad affacciarsi come standard, ma meno del
50% delle scuole italiane aveva un sito web, l’uso di un software autore ipertestuale
diventava un passaggio obbligato.
progètto s. m. [dal fr. projet, der. di projeter: v. progettare]. – 1. a. Ideazione, piano, proposta per l’esecuzione di un lavoro o di una serie di lavori: p. DettoFatto
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