Tecnoide


1.« ESPERIENZA » DI ROUGEMONT Filippo Burzio 1943

191/XVI

L'« ESPERIENZA » DI ROUGEMONT

Non credo di errare pronosticando a Denis de Rougemont un avvenire poco banale. L'opera del giovane scrittore svizzero-francese, per quanto an cora esigua di mole, si è svolta finora in due dire zioni (fra loro, del resto, strettamente imparen tate): sviluppo di certe teorie politico-sociali, che lo hanno posto fra i rappresentanti più in vista del cosiddetto movimento << personalista », il quale mi ra - contro le minacce collettiviste - a difendere, con nuovi metodi, i diritti della personalità umana; invenzione e descrizione di esperienze di vita e di stili individuali, che hanno stretta relazio ne, se non proprio di affinità, per lo meno di azione e reazione reciproca, col demiurgo. È di questo se condo aspetto dell'attività di Rougemont che voglio oggi occuparmi.

  1. Nel Journal d'un intellectuel en chômage (1), Rougemont descrive un'esperienza (e implicita mente mira a risolvere un problema) del piú vivo interesse attuale: quello dei modi e delle possibilità di sussistenza degli intellettuali nel mondo con temporaneo.
  2.  << Non ci sono più di due o tre scrittori in Francia che possano vivere largamente coi proventi della loro professione », afferma Rougemont

(1) DENIS DE ROUGEMONT, Journal d'un intellectuel en chômage, Paris, ed. Albin Michel, 1937.

e l'uccello del bosco saprà ben nutrire anche voi ».

Messosi per questa via, Rougemont riscopre il valore e ritrova la gioia della povertà, ed è questo il più alto frutto ch'egli abbia tratto dalla sua esperienza. «La povertà egli osserva è un problema «sociale » gravissimo, soprattutto perché è un problema << morale » non risolto. Per la mag gior parte dei contemporanei, diventar povero non significa tanto: fame e fatica, quanto umiliazione... ciò che si teme di più è perdere il proprio rango e la << considerazione » ad esso inerente: è non poter piú << apparire >>, sedurre, viaggiare in macchina, andare a teatro ecc. Tutte cose che si amano so prattutto perché si crede che « bisogni » amarle, e perché non si hanno ormai altri gusti se non quel li ispirati dalla « pubblicità» (anch'io ho detto più di una volta qualcosa di simile). << Insomma, tutto ciò non è spaventoso se non perché non si ca pisce piú che cosa sia lo spirito di povertà. Si crede che povertà sia vizio... lo penso che la vera solu zione della « psicosi di crisi » che avvelena la borghesia

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PROFETI D'OCCI


ghesia sia nel ritrovamento dello spirito di pover. tà... Certo, lo spirito di povertà non è dato se non a coloro che credono ad altra cosa che al loro successo, o ai loro agi, o al loro rango; e son pochi. O diciamo, piuttosto, che son pochi quelli che si conoscono: qualche grande capo, qualche fanatico di una causa, qualche santo. Ma c'è poi forse una folla d'ignoti... Non bisogna essere nè ricchi né poveri, secondo le misure sociali: bisogna essere <<< liberi » nella misura della propria vocazione. È solo in rapporto alla vocazione che un uomo arriva a sapere esattamente di che cosa e di quanto ha bisogno per vivere >>.


Parole, queste ultime, di schietto sapore demiurgico. Ma la pratica della povertà (e, aggiunge. rò, anche dell'altro grande valore cristiano della << carità ») sono anch'esse virtú demiurgiche? Ecco per me un grave problema. Io ho sempre sentito il fascino della povertà, e credo ognor piú che sia lí un prodigioso disintossicante dell'umanità con. temporanea: ma si tratta di conciliare ciò col biso gno di universalità, di vita piena che ha il demiur. go: in particolare con l'istinto demiurgico del pro prietario e con l'istinto del re. Ne riparleremo.

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