L'opinione
to. Una volta varcate le porte, si entra in un ambiente "classe 10", dove 9 l'aria è 400 volte più pulita di quella di una sala operatoria abilitata per gli interventi a cuore aperto. È già una "area bianca" ma non la più im- macolata. In altre zone, quelle di "classe 1", si arriva a 4.000 volte. Si- gnifica che al massimo può esserci una particella di polvere non più grande di 0,12 millesimi di millime- tro per ogni volume d'aria pari a un cubo da 33 centimetri di lato.
Alla periferia di Catania, dalla par- te opposta della città rispetto a dove svetta l'Etna, nel grande stabilimen- to della St Microelectronics c'è un
viando una nuova produzione in un terreno poco distante, dove so- no in corso i lavori per costruire un ulteriore impianto che entrerà in funzione nella seconda metà del 2023 e a regime impiegherà altre 700 persone.
Per spiegare le motivazioni tecni- che che stanno alla base di un inve- stimento da 730 milioni di euro, in parte finanziati dal Pnrr, Vitale solle- va due dischi di materiale diverso. Il primo è in silicio, il semiconduttore che ormai da decenni viene utilizza- to come substrato per produrre i chip. Il secondo è quasi trasparente ed è in carburo di silicio (SiC). Li chia- mano "wafer", o "fette", perché na- scono dal taglio meccanico di un ci- lindro di materiale puro. «Con una storia così lunga alle spalle, i lingotti
di silicio possono arrivare anche a 2,5 metri di lunghezza. Il SiC è molto più difficile da produrre con il livel- lo di qualità che serve ai chip e i pro- duttori di qualità sono pochi. Il re- cord per la lunghezza dei lingotti da affettare, finora, non arriva a 4 centi- metri», racconta Vitale. Il carburo di silicio ha però un vantaggio rispetto al "cugino": presenta una dispersio- ne di elettricità di gran lunga inferio- re, fino al 90%, e questo a parità di prestazioni consente di costruire componenti molto più piccoli e leg- geri. «Da questo wafer», spiega l'in- gegnere, mostrando un disco in SiC non più vergine ma già lavorato grande 15 centimetri, «<si possono ri- cavare i circuiti di potenza per tre auto elettriche alto di gamma».
Il successo del carburo di silicio è cio non è necessario perché è un pro- dotto consolidato. Ci siamo mossi per tempo, acquistando nel 2019 la svedese Norstel, che aveva le tecno- logie per produrre le fette vergini. Poi abbiamo deciso di iniziare a pro- durlo qui a Catania nelle dimensio- ni di scala che ci servono, a stretto contatto con la linea che noi chia- miamo di front-end, la parte a mag- gior valore aggiunto», racconta.
La seconda ragione è intuitiva: il SIC è molto più costoso del silicio e poter controllare i costi di produzio- ne ha un effetto diretto sulla redditi- vità . La terza è legata ai rischi intrin- seci del materiale: «Ha una difettosi- tà elevata che può condizionarne l'affidabilità anche nel lungo perio do. Per questo motivo integrare l'in- tera catena produttiva ci consente sempre più di migliorare i risultati e ridurre gli sprechi», continua Merli.
Muoversi tra i macchinari dell'im- pianto, dove i dischi vengono sotto- posti a 400 fasi di lavorazione, è l'u- nico modo per rendersi conto dello sforzo necessario per operare in un settore così avanzato. Al termine dei vari processi, quando escono dal- lo stabilimento per andare in Cina e in Marocco, dove St compie l'assem- blaggio dei componenti, i wafer da sei pollici possono contenere da 500 a 2.000 transistor, in uno spes- sore che in media è di 180 millesimi di millimetro. La strumentazione ar- riva quasi per intero dagli Stati Uniti e dal Giappone. Alcuni macchinari sono predisposti per lavorare fette
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da venti centimetri di diametro, un aumento che richiede di risolvere problemi complessi. Per dare un'i- dea: nell'impianto l'aria viene cam- biata 450 volte ogni ora e bastereb- be questo flusso laminare per dan- neggiare i transistor, se non fosse per i de-ionizzatori che a intervalli regolari scendono dal soffitto.
In questo ambiente estremamen- te controllato, si muovono tecnici e ingegneri nelle tute bianche. Nell'in- tero sito di Catania quest'anno sono state assunte 300 persone, con il nuovo impianto ne serviranno 700. Paura di non «Per fortuna qui a Catania siamo ancora visti co- me il posto giusto per lavorare», ri- sponde Merli, proprio in questi giorni inizia il primo master interna- zionale di un anno in elettronica di potenza studiato assieme all'Univer- sità di Catania, con la quale abbia- mo definito un accordo quadro per le facoltà di ingegneria, fisica e chi- mica. Durerà tre anni ma noi vorrem- mo fosse eterno».
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