insegnanti 1971 2011
CONTRADDIZIONI: COME VIVERE? SALARIO O BENEFICIO?
Ma, cosí armato, l'intellettuale del XIII secolo resta in preda a molte incertezze, posto di fronte alla necessità di scelte difficili. Le contraddizioni si rivelano durante una del le crisi universitarie.
I primi problemi sono d'ordine materiale e lo impegnano profondamente.
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Prima domanda: come vivere? Dal momento in cui l'in tellettuale non è più un monaco del quale la sua comunità assicura il mantenimento, bisogna pure che si guadagni da vivere. Nelle città i problemi del nutrimento e dell'alloggio, del vestiario e del rifornimento di libri che costano assai - sono angosciosi. E ormai la carriera studentesca è tanto piú costosa in quanto è più lunga.
Per questo problema vi sono due soluzioni: il salario o il beneficio per il maestro, la borsa o la prebenda per lo studente. II salario, poi, può presentarsi sotto un duplice aspetto: il maestro può essere pagato dagli allievi o dal po tere civile. La borsa può essere dono di un mecenate pri vato o sovvenzione di un organismo pubblico o di un rap presentante del potere politico.
Ma ciascuna di queste soluzioni porta con sé impegni diversi. La prima opzione fondamentale è tra salario e bene ficio. Nel primo caso l'intellettuale afferma deliberatamente la sua qualità di lavoratore, di produttore. Nel secondo egli non vive della propria attività ma può esercitarla in quanto ha una rendita. Tutto il suo statuto sociale-economico si riassume cosí: lavoratore o privilegiato?
Implicite in questa prima scelta, se ne disegnano altre di minore importanza, ma non trascurabili.
Se riceve un salario, egli può essere mercante - nel caso che siano i suoi allievi a pagarlo o funzionario - se è re tribuito dal potere comunale o dal principe - o una specie di domestico - se è la generosità di un mecenate a dargli modo di sbarcare il lunario.
Prebendato, può fruire di un beneficio connesso alla sua funzione intellettuale e che fa di lui un chierico specializ zato; o ricevere in dote un beneficio al quale è già connessa un'altra funzione pastorale: parrocchia o abbazia, ed essere un intellettuale soltanto per un caso fortuito, ad onta della sua carica ecclesiastica.
Dal XII secolo, la scelta fu fatta in parte secondo le cir costanze di luogo o di tempo, la situazione e la psicologia delle persone.
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È possibile tuttavia rilevare determinate tendenze. Quel la dei maestri è di vivere col danaro pagato dai loro allievi. Questa soluzione ha per loro il vantaggio di lasciarli liberi nei confronti dei poteri temporali: comune, principe, Chie sa, e anche mecenate. Essa pare loro naturale giacché è la piú conforme alle abitudini del cantiere urbano di cui si considerano membri. Essi vendono la loro scienza e il loro insegnamento come gli artigiani vendono i loro prodotti. Questa rivendicazione è da loro sostenuta con affermazioni legittime di cui si trovano numerose espressioni. La prima è questa: che ogni lavoro merita un compenso. Ciò trova conferma nei manuali dei confessori: << Il maestro può accet tare il danaro degli studenti - la collecta quale prezzo del suo lavoro, delle sue fatiche »; il che sarà ricordato spesso dai dottori universitari, come faranno i dottori di diritto a Padova nel 1382. « Noi opiniamo non essere razionale che il lavoratore non tragga un utile dal proprio lavoro. Perciò decretiamo che il dottore, il quale farà il sermone di risposta in nome del collegio per l'accoglimento di uno studente, riceverà dallo studente quale riconoscimento del suo lavoro tre libbre di stoffa e quattro fiaschi di vino o un ducato. » Di qui la caccia data dai maestri agli studenti cattivi paga tori. Già Odofredo, il celebre giurista di Bologna, scriveva: << Vi annuncio che l'anno prossimo farò i corsi obbligatori con la coscienza che vi ho sempre dimostrata; ma sono in certo sul fare dei corsi straordinari perché gli studenti non sono buoni pagatori: vogliono sapere ma non vogliono pa gare, conformemente a questo motto: Tutti vogliono istruir
si ma nessuno vuol pagare il prezzo del sapere ». Quanto agli studenti, a giudicare dalle loro lettere, sia quelle autentiche, sia quelle proposte quali esempi nei ma nuali di corrispondenza, cercavano soprattutto di farsi man tenere dalle loro famiglie o da un benefattore.
La Chiesa e più specialmente il Papato si fecero un do vere di regolare questo problema. La Chiesa proclamò un principio: la gratuità dell'insegnamento. La piú legittima tra le ragioni che giustificavano questa presa di posizione era la volontà di assicurare l'insegnamento agli studenti
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poveri. Un'altra, che metteva radice in uno stato d'animo arcaico e si riferiva a un'epoca in cui non v'era altro in segnamento che quello essenzialmente religioso, pretendeva che la scienza fosse un dono di Dio e che perciò non si potesse venderla sotto pena di essere considerato simoniaco; e che l'insegnamento facesse parte integrante del ministero (officium) del chierico. San Bernardo, in un testo celebre, aveva denunciato i guadagni dei maestri come vergognosi profitti (turpis quaestus est).
Il Papato decretò cosí una serie di misure. Già nel ter zo Concilio del Laterano (1179) il papa Alessandro III pro clamava il principio della gratuità dell'insegnamento e nu merosi richiami a questa decisione furono fatti dai suoi suc cessori. Nello stesso tempo doveva essere istituita presso o gni chiesa cattedrale una scuola il cui maestro avrebbe avu to vita assicurata grazie al conferimento di un beneficio.
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Ma in questo modo, il Papato attaccava a sé con i legami dell'interesse gli intellettuali condannati a chiedergli dei benefici, e arrestava, o quanto meno frenava notevolmente, il movimento che li portava verso il laicato.
Il risultato fu che soltanto coloro che accettarono questa dipendenza materiale dalla Chiesa poterono essere professori nelle università. Certo, a lato delle università, e a dispetto dell'opposizione feroce della Chiesa, poterono essere fonda te delle scuole laiche, ma, invece di dispensare un'istruzione generale, esse si limitavano a un insegnamento tecnico es senzialmente destinato ai mercanti: scrittura, contabilità, lin gue straniere. Si allargava cosí il fossato tra la cultura ge nerale e la formazione tecnica. Con questo mezzo la Chiesa privava della sua portata essenziale l'opinione emessa da Innocenzo III il quale, nel suo Dialogus, aveva dichiarato: << Ogni uomo dotato di intelligenza... può assumere la fun zione di insegnante giacché per mezzo dell'insegnamento egli deve ricondurre sul retto sentiero il fratello che vede errare lungi dalla via della verità o della moralità. Ma la funzione di predicare, vale a dire di insegnare pubblicamen te, la posseggono soltanto coloro che sono designati per essa, vale a dire i vescovi e i preti nelle loro chiese, e gli abati nei monasteri, cui è affidata la cura delle anime ». Testo im portantissimo col quale un pontefice, e non dei più aperti alle novità, di fronte all'evoluzione generale riconosceva la distinzione ch'era necessario stabilire tra la funzione re ligiosa e la funzione di chi insegna. Certo, questa opinione è espressa tenendo presente un preciso contesto storico, e cioè quello di una società ancora intieramente cristiana; ma la più alta personalità della Chiesa aveva riconosciuto, al meno nei suoi dispensatori, il carattere laico dell'insegna mento. Come è noto, queste affermazioni non ebbero lo svi
luppo che meritavano. Ciò nondimeno come si vedrà, numerosi maestri e stu del Medioevo furono laici. Non per questo essi par teciparono meno di altri alla distribuzione di benefici ec clesiastici, contribuendo cosí ad aggravare uno dei grandi vizi della Chiesa del Medioevo e dell'Antico Regime: l'attribuzione delle rendite dei benefici ecclesiastici a persone laiche. D'altra parte l'attribuzione di un beneficio speciale per un solo maestro di ogni centro scolastico essendosi rivelata rapidamente del tutto insufficiente, maestri e stu denti ricevettero dei benefici ordinari e vennero ad aggra vare quest'altra piaga della Chiesa: la non residenza dei pastori,
Infine la posizione della Chiesa accrebbe le difficoltà di coloro che cercavano nell'istruzione sbocchi non ecclesia stici, specialmente il Diritto civile e la Medicina. Costoro furono condannati a trovarsi spesso in situazioni false giacché, anche se la voga degli studi giuridici, in special modo, non ne fu diminuita, essi vennero ripetutamente attaccati da eminenti ecclesiastici. Ruggero Bacone dichia rerà: «< Tutto nel diritto civile ha carattere laico. Rivolgersi a un'arte tanto grossolana, equivale a uscire dalla Chiesa >>. Siccome non se ne poteva parlare ufficialmente nelle uni versità, tutto un insieme di discipline, che l'evoluzione tec nica, economica e sociale destinava a un grande sviluppo e ch'erano sprovviste di qualsiasi carattere religioso im mediato, furono paralizzate per secoli.
_109/114 Jacques Le Goff, Genio del medio evo, Enciclopedia Popolare Mondadori, 1959
_109/114 Jacques Le Goff, Genio del medio evo, Enciclopedia Popolare Mondadori, 1959
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