Bau 🦔
tutto è visibile?
«Nella visibilità totale, in quella che io chiamo realtà inte grale, si è nell'assoluta traspa renza, non c'è più nulla di se greto. L'arte esiste se ci sono delle cose segrete, qualcosa che non viene detto e che non si può dire, mentre adesso non c'è nulla di cui non ci sia nulla da dire, si può dire tutto su tutto. Questo commento, queste chiacchiere indefinite, questa ripetizione delle cose, non seducono per ché non c'è nulla di segreto, non c'è illusione e l'arte oggi non cerca l'illusione. Viviamo in un realismo assoluto e tecnologico, che non consente segreti».
Quindi qual è il ruolo dell'arte visiva in un mondo che si ri posa sulle glorie dell'immagi ne?
«Non so quale possa essere questo ruolo perché il lavoro sulla performance visiva è assorbito dalla visualità della pubblicità, dei media e di tutto il resto. Tutta l'arte o la maggior parte dell'arte che si vede alla Biennale è virtualmente decorativa, potrebbe essere venduta nei grandi magazzini. Del resto è una cosa che si fa normalmen te, c'è solo il di chi afferma che è arte che ne distingue la specificità. Ciò che resta è il discorso sull'arte, la storia dell'arte e l'idea di arte».
Se questo è vero, chi è che in carna la forza critica, il polo di resistenza?
«L'arte è solo una variante di un sistema generale di produzione, di messa in scena, di performance. Non ci sono poli di resistenza a quel livello, spero ci siano altre cose che resistono al di fuori dell'arte, che non costituisce più una scena alternativa». E il messaggio dell'arte concettuale?
«Il messaggio dovrebbe essere che non c'è più nulla da dire. Si visualizza l'idea dell'arte, siamo al limite estremo, dove l'arte è al minimo, non è più forma è un'idea. E' una maniera di salvare un'idea dell'e sistenza del l'arte fino al li mite in cui non c'è più nulla da rappresentare, è un'arte dell' appena visibi le».
Cos'è per lei il complotto dell'arte?
«E' un com plotto di cui tutti sono complici, chi genera arte e chi la fruisce, dando vita a una spirale d'intossicazio ne. Non voglio fare accuse di manipolazione, ma c'è una forma di ricatto. Se non vi ri conoscete mentre guardate l'arte e mentre la capite, allora ne siete esclusi. E' servitù volontaria>>.
Lei ha affermato che abbia mo finito per avere un eccesso di arte, ma non sarà che non riusciamo a vederne i confini perché siamo in un mondo do ve tutto è arte, dove tutto può essere arte?
«Se l'arte è ovunque, allora cessa di esistere. La cultura è la forma globalizzata dell'arte e di molte altre cose. La morte del l'arte è un paradosso: l'arte muore per eccesso di arte. Il ta glio è rappresentato da D champ che ha messo in campo la democrazia assoluta, la promiscuità totale fra l'oggetto e il museo, per cui qualsiasi cosa può entrare nel museo. Non ci sono più posizioni singolari, ognuno crea le sue regole del gioco. Tutti possono produrre, non ci sono più segreti, tutti possono affermare qualcosa e hanno il diritto di farlo. Dal punto di vista dell'artista, il tema centrale diventa il fatto che sta dipingendo, non più l'oggetto reale.
«Tutti diventano creatori, c'è una mobilitazione generale chę porta al paradosso per cui non c'è più un destinatario, tutti sono trasmettitori.
Ognuno crea la propria espressione e non ha più il tempo di ascoltare gli altri. E' una forma eccessiva in cui l'arte scompare per eccesso, non per mancanza, creando un cortocircuito al senso stesso.
La conseguenza per il consumatore è che dal momento che l'arti sta dipinge per il fatto che di pinge, lo spettatore va a vedere il fatto di andare a vedere, e quindi consuma la sua stessa cultura al secondo grado. Così l'uomo non si coltiva ma si accultura, e si autoconsuma».
C'è una violenza della globalizzazione che si trasmette at traverso l'arte?
«Quella che si trasmette è la violenza della globalizzazione. L'indifferenza a tutto, la visibi lità totale, la trasparenza passa no anche attraverso l'arte. C'è una violenza particolare del l'arte che potrebbe rivoltarsi contro la globalizzazione, ma ne sono meno sicuro. L'arte di oggi è violenta non solo per il contenuto delle immagini ma per l'irruzione che fa, nella mi sura in cui mette fine alla realtà».
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